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LA BALORDA ERA LEI
Ruggine e il suo gatto Ferro sono inseparabili. Lei è vecchia, vedova, gobba, solitaria. Nel borgo, quasi tutti sono vecchi, come lei, ma quasi nessuno risponde al suo saluto. Nel borgo, tutti sanno che il suo unico figlio l’ha violentata. Tutti sanno che per questo l’hanno rinchiuso in una comunità, povero figliolo. Ma la vera colpevole è lei. Lei che, nonostante tutto, non vuole morire. Non vuole sgomberare le due misere stanze in cui vive in affitto. Deve aspettarsi qualche brutto tiro, la vecchia Ruggine.
La Toscana descritta da Anna Luisa Pignatelli è bellissima. L’ombra della bruttura umana risalta contro lo splendore della campagna, l’oro dei campi di grano, il rosso dei papaveri. Anche le case del borgo sono belle. Il rosone di pietra bianca di una chiesa, intagliato come un ricamo, indica tempi, ormai lontani, in cui l’umanità conosceva ancora misura e finezza.
Misura e finezza danno vita a un romanzo breve, tagliente come una lama. I richiami al parlare tipico toscano, lievi ma efficaci, conferiscono brio alla narrazione. Nel ritmo equilibrato ma incalzante si sente il profumo, mai pedante, della tradizione letteraria. Una piccola grande storia, che svela la piccola umana crudeltà, quella che non gronda sangue e si nasconde con poco nelle case, nelle viuzze, nelle chiese della nostra provincia.
Una provincia minuscola, dove non ci si chiude a chiave, dove ci si compiace di essere buoni e caritatevoli, dove la banalità del male è la stessa che ammorba l'Italia intera. Una provincia che elegge al governo un "mafioso milionario” mentre punta il dito contro la povertà, accusandola di nascondere ricchezze, di rubare, di prostituirsi.
“Ruggine” è un’opera di rara bellezza, che può far male. Evitatela, se non amate la riflessione.
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