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Nani Sapienza
Nani Sapienza non è il classico maestro di scuola: egli fa del suo mestiere una missione, una passione, gioia, ed orgoglio.
Il suo primo obiettivo è quello di far riflettere i suoi alunni e per farlo si avvale di favole, di racconti, di miti greci, e si, perfino della cronaca nera. Quest’ultimo elemento, in particolare, lo porta a suscitare molteplici malumori, tanto dei genitori della città di S., quanto della preside. La morte di Martina, inoltre, la figlia di otto anni, venuta a mancare a causa della leucemia, è una ferita ancora aperta, è una ferita che ha provocato la pausa del suo matrimonio nonché l’isolamento, la solitudine. Quando dunque, in sogno, gli appare un’altra bambina con un cappottino rosso, a sua volta di otto anni e con la stessa camminata a paperina della sua piccola creatura, una bambina che guarda caso scopre essere misteriosamente scomparsa durante il tragitto per andare a scuola, per lui non è soltanto un caso, è un segno.
Se avete avuto modo di leggere una o più opere di Dacia Maraini, il primo elemento che sovvenirà alla vostra mente è proprio la grande differenza rispetto a predette. In queste pagine, infatti, non troverete le ambientazioni – né le atmosfere – di Bagheria, di Isolina, e neanche, quelle de “La lunga vita di Marianna Ucria”. “La bambina e il sognatore” è in primo luogo un viaggio introspettivo dove la mente è chiamata costantemente a riflettere, ad aprirsi. L’intento dell’autrice è chiaramente quello di porre l’attenzione del lettore su alcune tematiche di particolare rilevanza sociale, e, così facendo, di indurlo alla ponderazione, a chiedersi “perché” e a darsi una risposta. Il tutto avviene attraverso i pensieri di Nani, mediante i suoi dialoghi con gli studenti e grazie ad una scrittura fluida, costante, chiara, ed attuale; una scrittura che si conforma con l’oggetto del testo distaccandosi ulteriormente dai precedenti lavori. Al dialogo tra il docente e la sua classe si somma anche quello interiore dell’uomo con il suo “uccellaccio”, conversazioni dove il suo animo sognatore e fiducioso si contrappone a quello più pragmatico, cinico e amaro.
Tra le varie problematiche trattate, la violenza sulle donne e quella sui bambini, sono pregnanti. A queste se ne aggiungono altre, quali, il fanatismo religioso nei suoi estremismi, la prostituzione minorile, il turismo sessuale, i rapporti padri-figli. Numerosi anche i titoli presenti atti a consentire, al conoscitore, di approfondire il tema (vedi: “La battaglia di una sopravvissuta contro lo sfruttamento sessuale di donne e bambine” di Somaly Mam, o ancora, “Io nojoud, dieci anni, divorziata” di Nojoud Ali).
Con “La bambina e il sognatore” Dacia Maraini ci invita a guardare il bicchiere mezzo pieno ma soprattutto a cercare il bene anche quando il male sembra essere onnipresente ed onnipotente, ci invita ad interrogarci prima ancora di interrogare e giudicare, a cercare risposte quando le domande finiscono con l’essere celate, obliate. E’ un elaborato fiducioso quello presentato, uno scritto dove ella ci suggerisce di lasciare ai figli uno sguardo aperto sul mondo (ciò traspare soprattutto dai passi in cui in classe, i piccoli musulmani, rischiano di essere schiacciati dalla mentalità dei padri che esigono che smettano di studiare, che non ascoltino parole diverse da quelle del genitore), un testo forte dove la scrittrice parla alla ragione, da intellettuale, da filosofa, dove senza indugi abbandona il suo stile classico onde consentire alla chiacchierata con chi ha intorno.
In conclusione, disturbante, profondo, riflessivo.
«Spero solo che tu ci rifletta sopra, Ahmed, devi capire da te dove il ragionamento fila e dove diventa ingarbugliato.. me lo fai questo favore? Ci provi a ragionare con la tua testa? Io non ti dico di scegliere fra le cose che dice tuo padre e quelle che ti dico io, ti prego solo di pensare con il tuo cervello, perché tu, come me, come tutti gli altri qui dentro, sei dotato di un motore che funziona perfettamente, e questo motore si chiama mente. E sono sicuro che, come me, come noi, la tua mente conosca il senso della giustizia. Ora ti chiedo: è giusto considerare inferiore un bambino solo perché di pelle nera e di religione diversa, quando sappiamo che quella pelle deriva dalla melanina e non da una cultura inferiore e quella religione ha lo stesso diritto della tua di essere praticata?» p. 93
«Non so quanto resisterò in questo paesino di montagna, mangiando pesce di lago e di fiume, ascoltando i discorsi amari di mia madre, guardandola muoversi come una leonessa in gabbia. Ma pure so che non me ne andrò fino alla fine della vacanza, perché la tenerezza mi prende alla gola; assieme a una pietà rabbiosa, alla voglia di scappare, e anche di abbracciarla e di baciarla su quel collo di tartaruga. Perché so che, come dice lei, questa è l’ultima occasione per starle vicino. E dopo ci perderemo per sempre» p. 172
«Ma lui ridacchia e pretende di esprimere il suo rozzo pensiero che identifica col buon senso, un po’ come il coro che commenta le azioni dei protagonisti nella tragedia greca: si presenta quale assennatezza ma è solo conformismo» p. 221
«E’ consolante per una comunità pensare che la responsabilità stia altrove, che i malandrini non appartengano a quel luogo, e che degli sconosciuti malviventi siano venuti da fuori a uccidere e devastare il povero quartiere innocente. La città intera si considera estranea a questa sparizione di cui ormai non si parla più, ma che pesa sulle coscienze dei più sensibili. Ci si può liberare di un enigma risolvendolo, dicono i saggi, non seppellendolo. Anche se ormai siamo abituati a seppellire tutto, perfino le più schifose immondizie: un poco di terra sopra e buona notte! Ma ogni tanto la terrà si apre e manda fuori un improvviso puzzo di foglia. E i pettegolezzi riprendono» p. 267
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Ma , Marianna Ucria a parte, come scrittrice mi pare parecchio sopravvalutata.
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