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Nuoro
Nuoro, fine ottocento-inizio millenovecento. La famiglia di stampo patriarcale Sanna Carboni è composta da Don Sebastiano, notaio del paese nonché uomo dalle salde tradizioni e dalla mentalità rigida del tempo, e da Donna Vincenza, figlia di Monsù Vugliè ed originaria di quel pezzo di Sardegna che fu il regno Sabaudo da cui giunse con quel piccolo appezzamento di terra destinato all’uso di orto. Dall’unione della coppia ben nove figli vengono al mondo, ciascuno dei quali vien fatto studiare dal padre nonostante i costi, i sacrifici. Al fianco dei protagonisti principali, spiccano un’altra serie di personaggi, quali il fattore ziu Poddanzu, il maestro Manca o ancora Giggia, la prostituta del paese, che hanno il compito di rimarcare come la posizione di appartenenza sia immodificabile e irrinunciabile. Da questa non vi è possibilità di riscatto alcuno. Essa può, come nel caso di Pietro Catte, soltanto peggiorare, condurre a seguito di una serie di sprovvedute azioni, alla perdizione, ad una sorte avversa. Ed è questo nucleo familiare, insieme a tutti gli altri individui che popolano il paese, che costituisce il pilastro grazie al quale si snoda l’opera ideata da Salvatore Satta; il fulcro con cui lo stesso ricostruisce il volto di una realtà dimenticata.
E come gli individui hanno il loro posto, il loro posto lo hanno anche le cose, le istituzioni, la legge, la Chiesa, Dio. Questi sono dogmi fondamentali, a cui è impossibile sottrarsi, a cui è peccato sottrarsi. Il destino è ineludibile, consacrato, immutabile. Non vi è spazio per le speranze, per le alternative, per le possibilità; ciascun protagonista è accompagnato da un’unica insostituibile amica: la solitudine.
Nello scorrere le pagine de “Il giorno del giudizio” la prima sensazione che viene percepita è proprio questo senso di isolamento, lontananza, abbandono da chi abbiamo accanto, dentro e fuori dalle mura domestiche, prima sensazione a cui seguono molteplici di naturali domande.
Composto da un susseguirsi di episodi che si alternano in uno scandire di vicende e vicissitudini, il testo arriva con forza al lettore che diviene parte integrante della riflessione, di quel puzzle atto a ricostruire un contesto sociale. E seppur manchi una vera e propria trama, un vero e proprio filo conduttore in quanto lo stesso ripercorre quelli che sono i ricordi dell’autore, i flussi correnti che alla mente tornano da piccoli gesti o oggetti incrociati quasi per caso, ciò accade con forza inesauribile.
Caratterizzato da uno stile forbito, ricco, acuto e meticoloso, l’elaborato raggiunge il suo obiettivo destinandosi a chi legge con tutta la sua più semplice verità. A tratti la lettura può risultare difficoltosa a causa dell’assenza di predetta unica linea guida, ma nel complesso, “Il giorno del giudizio” è un testo che rappresenta la massima espressione del panorama letterario italiano, un’opera che offre una perfetta disanima dell’animo umano, con i suoi pregi e i suoi difetti, con le sue contraddizioni e i suoi limiti.
«Il fatto è che il pastore non ha nulla a che fare con il contadino. Il pastore appartiene alla dinamica della vita, il contadino alla statica. La differenza tra il pastore e il contadino è che quello conduce una casa che cammina, questo una casa che sta ferma. Se per l’uno la terra sulla quale vendemmia ed ara è il fine, per l’altro è solo lo strumento; se il contadino dopo che ha zappato e potato le viti e gli ulivi, siede ai piedi di un albero e mangia il pane intinto nell’olio, si riposa; il pastore quando siede anche lui nella grande calura meridiana non riposa, perché la sua intera vita è senza riposo. Guarda le pecore che meriggiano, ma sa che a un certo punto queste si muoveranno col loro lento dondolio, e nessuno le potrà fermare e andranno, ed egli le dovrà seguire, aiutato soltanto dai cani, che ha avvezzato alla guerra. [..] La proprietà pastorale non ha nulla a che fare con la proprietà contadina. Questa, intanto, è raccolta in certe valli e in certe pianure, è divisa in tanti appezzamenti di terra, e non ce n’è uno che assomigli all’altro. Bisogna chiedere il permesso, quando si entra, anche per attraversarli. L’altra è dappertutto, è certamente divisa e accatastata, ma la legge è legge, il fatto è fatto, e nessuna legge può impedire al pastore di considerare la sua proprietà in tutto quello che l’occhio può abbracciare. E non solo la terra, ma le greggi, che in tanto sono tue in quanto sei in grado di difenderle. Dio è col contadino, non è col pastore» p. 32-33
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Sai, girando per Nuoro ancora si possono rintracciare alcuni dei luoghi di cui Satta parla nel romanzo. :)
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