Dettagli Recensione
Manfred & Marina
Manfred e Marina, due solitudini a confronto. Lui è un uomo arrabbiato, che non parla, che trattiene quello che sente, che ti è ostile, che non ti dà soddisfazione, che ti risponde male, che si ritrae ad ogni contatto o sintomo d’affetto. Lei è una donna timorosa, impaurita, che si sente inadeguata, incapace di crescere un figlio, una donna soggiogata dai giudizi altrui. Si incontrano in un mese di luglio di un anno indecifrato, e tutto accade in una notte. Lui sa qual è la verità che si cela tra le mura della casa che le ha affittato, lei non vuol cedere ad un ricatto psicologico. Lui è l’unico che alla fine riesce ad estrapolarle quella promessa, “non lo lasciare”, seppur sia stato il primo ad essere stato abbandonato.
In una manciata di appena 203 pagine Cristina Comencini, con la sua scrittura criptica e visionaria che non dice mai nulla più del dovuto e che alterna sapientemente presente e passato, affronta uno dei temi più duri, quello dell’animo umano con tutte le sue contraddizioni ed oscurità. E’ un percorso di dolore, un cammino che porta a galla emozioni soffocate, taciute. Sentimenti tutti legati all’abbandono, alla voglia di amare e di essere amati, alla consapevolezza che ormai è troppo tardi per cambiare le cose, perché forse semplicemente, ci vuole troppo coraggio a rinunciare all’orgoglio e al rimettere in discussione una vita che è già compiuta..
Entrambe i protagonisti hanno accumulato mali su mali, ne sono satolli, ne sono bloccati, soffocati, oppressi, il dolore non sembra avere valvola d’uscita se non, per lei il tacere, e per lui, lasciarsi andare ad una imprevista ed incontrollabile rabbia.
Sono due cuori induriti, incompresi da chi li circonda, dai principali affetti (famiglia d’origine, famiglia acquisita, figli) nonché dalla società, due anime perdute destinate, sin dal primo incontro, ad entrare in simbiosi. Ed è qui che quell’apparenza di durezza viene meno rivelando la vera identità di due persone che sono fragili, spaventate, ed è qui che le catene della prigione in cui sono sempre stati rinchiusi si aprono liberandoli. Inevitabile conseguenza, la voglia di riscatto, la voglia di lasciarsi andare ad una travolgente e proibita passione, la voglia di rivalsa per una vita che li ha privati di tutto condannandoli al silenzio, all’incomunicabilità..
Il tutto è avvalorato da un linguaggio concreto, duro e crudo che nulla risparmia al lettore. Non vi è spazio per la dolcezza, per atteggiamenti edulcorati; la lotta psicologica ed il continuo rincorrersi dei protagonisti occupa interamente la scena. Un racconto dal tono aspro, narrato altresì in prima persona e per forza di cose tangibile con mano.
Un elaborato diretto, che arriva con tutta la sua inclemenza, che genuinamente descrive la condizione di due vuoti a rendere, di due solitudini, di due sofferenze, di due baratri.
Due anni e tredici giorni. Ancora inseguirsi, ancora aspettarsi, ancora fondersi, perdersi.
«Penso di essere strana, l’amore degli uomini non mi interessa più di tutto, ma un uomo a cui dirlo non l’ho mai trovato, neppure una donna. Allora che amore è se non puoi dirlo a nessuno? Mandred, posso essere una buona madre, lo dice anche Bianca, ma voglio dividere con te questa cosa che mi schiaccia, l’amore e l’odio per il bambino che ho fatto.» p. 126