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Il treno dell'ultima notte
 
Il treno dell'ultima notte 2009-05-08 10:03:09 Maristella
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Maristella Opinione inserita da Maristella    08 Mag, 2009
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Amara come certi destini

“Il futuro si apre davanti a lei come un fiore precoce
Che ha sentito il primo raggio di sole, ma potrebbe
Rimanere congelato sul ramo.
Perché la primavera non è ancora arrivata
E quel raggio di sole l’ha ingannata.”


Con “Il treno dell’ultima notte” Dacia Maraini ci conduce dentro il buio baratro dei totalitarismi del secolo passato, all’interno di una fossa infernale abitata da una coscienza collettiva che mortifica quel desiderio di speranza e giustizia che sta alla base di una vita definibile “umana”.
Amara Sironi, giovane giornalista, viene inviata nei paesi dell’Est per una serie di articoli da pubblicare nel giornale per cui lavora. Ma un altro motivo la spinge ad accettare questo incarico: conoscere il destino di Emanuele Orenstein, suo amico d’infanzia e suo primo e indimenticato amore. Emanuele, ricco e bello, figlio di ebrei con un ingente patrimonio, segue la famiglia e da Firenze si trasferisce a Vienna, proprio nel momento storico meno opportuno. Spogliata di ogni avere, tutta la famiglia Orenstein sarà rinchiusa nel ghetto di Lodz e da qui trasferita al terribile campo di sterminio polacco di Auschwitz-Birkenau. Di lui Amara conserva gelosamente tutte le lettere ricevute dal ghetto di Lodz ed un quaderno-diario che le è stato recapitato, non si sa da chi, subito dopo la guerra. I suoi compagni di viaggio saranno Hans, detto “l’uomo delle gazzelle” per un particolare maglione che indossa e Horvath, uno strano bibliotecario, colto e animato da una grande sete di conoscenza. Sarà un viaggio doloroso e lungo, fermato da lentezze burocratiche e che attraverserà la Polonia di Auschwitz dipanandosi da Cracovia a Vienna fino ad approdare a Budapest, dove i nostri protagonisti vivranno in prima persona l’inutile ribellione del popolo ungherese contro l’oppressione dei russi, ribellione finita in un bagno di sangue a discapito degli insorti. (1956).
Ogni personaggio incontrato apporta un pezzo di storia presente e passata, fatta di racconti intensi e dolenti, amari come il nome della protagonista che, con estremo coraggio è capace di attraversare l’orrore e di pagare un alto prezzo di sofferenza per conoscere e finalmente capire, di non poter fermare il tempo e che esso non lascia che rovine e distruzione.
Nonostante l’ampio teatro storico, il romanzo inizia e finisce in un treno, che non solo simula il passaggio da uno stato europeo all’altro, ma assumendo il significato etimologico che gli deriva dal greco ( canto dei morti), è metaforicamente e lo è stato anche realmente, un viaggio che porta dalla vita alla morte. E’ un libro, questo, che ci invita caldamente a prendere coscienza del passato se vogliamo avere consapevolezza del presente, a far sì che memoria e coscienza possano essere usati come un deterrente per il futuro. Il totalitarismo, sempre in agguato nelle classi dirigenti che detengono il potere, deve essere tenuto a bada dalla cultura che ha il compito di purificare e trasformare ogni cedimento indirizzato verso il dominio di intolleranze, di prepotenze e di prevaricazioni.
E’ un romanzo vasto e di grande sapienza letteraria, importante, complesso e bellissimo, ricco di descrizioni straordinarie che accendono tutti i sensi, costellato di Storia e di storie, dove la prosa, con vertici di armoniosità e perfezione, ci conduce ad un finale intenso in cui con crudezza si manifesta il Male che gli uomini, con le loro azioni o con il loro colpevole silenzio, possono infliggere agli altri uomini, riuscendo ad annientarne ogni dignità e a dilaniarne l’esistenza. Un libro animato da un fortissimo impegno morale e civile, che esorta a tenere in vita un certo tipo di memoria per non perdere mai la consapevolezza di un’atrocità che, anche oggi, rischia di riproporsi.

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