Dettagli Recensione
Luce Di Notte, eccola qua.
Luce di notte, trentasettenne napoletana residente nei quartieri “Spagnoli”, di professione avvocato, non è la classica eroina a cui siamo abituati.
Capelli super corti, seno appena pronunciato, jeans e converse, si sommano ad un carattere prorompente, che nulla risparmia al lettore come agli altri protagonisti dell’opera. Perché Luce è un po’ così, un po’ pagliaccio e un po’ bambina, un po’ maschio e un po’ femmina, e come tutti ha paura delle emozioni. Si, le teme, perché ha sempre sofferto della mancanza di quel punto fermo che sarebbe dovuto essere il padre. Ed anche se è stata cresciuta da due mamme, quella naturale e quella “adottiva” della nonna Giuseppina, che si sono prodigate per garantire a lei e al fratello Antonio un futuro, ella ne è ancora in cerca. Al tutto si aggiunge una relazione finita male, un meraviglioso cane di nome Alleria e un vicino di casa filosofo non deambulante, Don Vittorio Guanella.
Dopo anni di galoppinaggio, la professionista è approdata allo studio legale di Arminio Geronimo & Partners, un luogo dove la donna non si piega all’atmosfera maschilista che regna. Al suo primo vero incarico però, le crepe di quella corazza così tanto stratificata e argillinata, vengono a galla. Eh si, perché quando Luce si trova a dover valutare se Carmen Bonavita – separata dal marito che si è rivolto allo studio della protagonista – è una buona madre per il poco più che settenne Kevin, e dunque a decidere se il padre ha buoni presupposti e motivi per intentare una causa di affidamento esclusivo, queste si sgretolano implacabilmente.
In primo luogo resta sorpresa dal bambino stesso: Kevin non assomiglia minimamente ai suoi genitori, anzi, ne è l’esatto opposto. Parla un italiano perfetto, è intelligente, educato, ha voglia di imparare e di studiare tanto che agli occhi di chi guarda sembra lui colui che è investito del compito di educare quel padre e quella madre che non perdono occasione per scannarsi. D’altra parte, Carmen non vuol far altro che preservare, a suo modo, il futuro della sua prole, il destino di quel bambino così diverso dagli altri e con una possibilità da non sprecare, vuol cioè evitare che finisca sulla strada, che finisca con l’essere un “delinquentello” come tanti, che finisca con l’essere risucchiato dall’universo camorristico di cui il padre è a capo. Quest’ultimo, invece, per quanto gli voglia bene, vorrebbe che fosse più simile a lui cosìcché non perde l’occasione propizia che gli è offerta; quella di punire quella moglie sovversiva per l’affronto fatto. E la trentasettenne, conosciuto il ragazzo inizia a riflettere sul suo percorso, su quella voglia di maternità che credeva di non avere, su quei punti fermi che sente di dover mettere, su quella realtà che da oltre trent’anni la circonda ma che grazie allo studio e alle cure amorevoli di due donne, ha sempre evitato, sottovaluto, mai realmente visto.
Ma Marone non ci offre solo una panoramica sulla realtà napoletana, sulle scelte del giusto e dello sbagliato e sulla coscienza e morale che ognuno di noi custodisce nel proprio cuore. L’autore ci porta anche a riflettere su altre costanti, su altri corollari dell’esistenza.
Altro tema che viene trattato è certamente quello dei rapporti familiari. Luce cresce in contrapposizione ad una madre bigotta, che si è immolata ai figli dopo la partenza e poi morte del marito e che si è rifugiata nella religione pur di trovare conforto. Questo porta la donna a chiudersi, lei che ha sempre cercato di insegnare l’onestà, la bontà, il perdono e l’altruismo ai figli, in dogmi dettati e delimitati dal peccato. La sua figura così ferma e solida, così responsabile con due lavori – pulizia delle scale e case altrui la mattina e sarta nel pomeriggio – si contrappone a quella del marito che al contrario è un irresponsabile di prima categoria che investe i pochi risparmi in un carrellino di zucchero filato o similari. Dalla famiglia il napoletano scrivente si sposta appunto alla Chiesa, mettendo in evidenza pregi, difetti e paradossi della stessa.
Altre due figure molto interessanti e di insegnamento sono Kevin e Don Vittò stesso. Il primo perché con la sua innocenza apre gli occhi alla protagonista, il secondo perché le insegna a scegliere, ad incamminarsi sul suo personale percorso senza accontentarsi di vivere sul sentiero più sicuro e semplice. Ed ecco che ritorna anche l’ulteriore tema caro al narratore, il senso della vita, delle occasioni perdute, di quelle ancora da afferrare.
Con “Domani magari resto” Lorenzo Marone ripercorre con dovizia il sentiero che già aveva intessuto con “La tentazione di essere felici” e con “La tristezza ha il sonno leggero” donando al lettore un libro munito della stessa forza empatica e circondato da quell’alone di magia che soltanto gli elaborati firmati con questa penna hanno. Luce, inoltre, è un personaggio ben costruito, stratificato, una protagonista da scoprire un passo alla volta, una donna che per quanto si atteggi a forte è in realtà fragile e alla ricerca di quello sprazzo di felicità che la vita sembra non averle voluto riserbare sin dalla nascita. Inevitabile quella sensazione di deja-vu che l’opera suscita nell’avventuriero conoscitore, eh si, perché la temeraria avvocatessa ricorda Cesare Annunziata, solo che al femminile.
Stilisticamente il testo è inoltre avvalorato e reso concreto da tipiche intercalari del luogo, elementi questi, che si fondono a quelle atmosfere dei Quartieri e a quella realtà della Camorra che travolgono chi legge così come la Di Notte.
In conclusione, un romanzo godibilissimo, che arriva e lascia il segno.
«Io non mi pento di nulla» ho replicato fiera «E fai bene, perché tutto quello che abbiamo fatto è quello che potevamo fare in quel preciso momento della nostra vita. IO credo che alla fine quello che noi siamo davvero è scritto in quello che è stato il nostro percorso. Tutte le altre cose presenti negli elenchi che scriviamo, semplicemente non erano parte di noi, sono falsi obiettivi che mettiamo li per sentirci migliori. In realtà potremmo benissimo non prendere mai una decisione nella vita e lasciarci guidare dall’istinto. Anzi, sono certo che saremmo tutti un po’ meno stressati se ci abbandonassimo al flusso delle cose senza avere la presunzione di poter cambiare questo o quel percorso. E sono sicuro che vivremmo la stessa identica vita che abbiamo vissuto. Quello che siamo è dentro di noi, il resto è tutta sovrastruttura. Superfluo. Siamo maestri nel circondarci di cose superflue» p. 150-151
«[..] Allora anche le cose brutte sono racchiuse in una parentesi, perché pure loro passano. Se c’è una cosa che la vita mi ha insegnato, è che non esistono parentesi tonde o quadre, nessun inciso o intervallo, le cose, belle o brutte che siano, te le trovi all’improvviso davanti, quando vai a capo, e forse è una fortuna, perché altrimenti basterebbe evitare le parentesi per condurre una vita serena. Solo che a salvare gli incisi la frase si accorcia e giunge presto al punto finale. [..] Mi dispiace contraddirti, ma non credo che siamo solo quello che abbiamo vissuto. Il nostro trascorso può intaccarci fino a un certo punto, ma c’è una parte che resta sempre integra, sempre nuova, pronta a ripartire e a indicarci altre strade. E’ dentro ognuno di noi, anche se molti nemmeno sanno di possederla, e sta li in attesa di essere utilizzata per qualcosa di straordinario» p. 246
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Commenti
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Grazie ancora!
Maria
Aspettavo il tuo commento e adesso, beh, non vedo l'ora di fare la conoscenza di Luce! Direi che mi ha già conquistata :)
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