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La vita non ci appartiene, ci attraversa.
Anna, Anna.. povera picciridda.. ha solo 13 anni ma è già grande in un mondo in cui i grandi non esistono più, sterminati dalla Rossa, un virus che non lascia via di scampo perchè nel giro di pochi giorni maschi e femmine in età adulta, una volta infettati, muoiono oppressi da tosse, febbre e piaghe epidermiche.
Nessuno sembra poterne sfuggire: il virus, diffusosi dall'Europa in tutto il mondo, ha determinato la morte di tutti gli esemplari umani al di sopra dei 16 anni lasciando così il mondo nelle mani di bambini e ragazzi poco più che adolescenti e comunque destinati ad una morte imminente, se un antidoto non venga scoperto per tempo.
E anche la Sicilia, terra natia di Anna, nonostante il suo isolamento geografico, non è esclusa da questo scenario catastrofico in cui Anna cercherà di sopravvivere, conscia del poco tempo che le resta a disposizione, e con l'ulteriore fardello di dover proteggere il fratellino Astor di soli 6 anni: è un obbligo a cui non può sottrarsi, anche perchè è l'ultimo desiderio espresso dalla madre prima di morire ed Anna non può assolutamente deluderla.
Anche senza dilungarsi ulteriormente sulla trama, ciò che incuriosisce subito chi ha comunque avuto modo di conoscere Ammaniti in altri suoi libri è proprio l'originalità della trama se paragonata a quella dei suoi romanzi precedenti.
Forse si potrebbe azzardare un paragone col libro 'Che la festa cominci', dove la ribellione degli uomini-talpa ha un'intonazione apocalittica, seppure la deflessione sarcastica e pungente che assume poi il racconto ridimensiona la drammaticità di quell'evento sfociando verso il grottesco e surreale.
"Anna" rimane comunque un caso isolato nella bibliografia di Ammaniti e peraltro induce nel lettore una sensazione inequivocabile di deja-vu se si pensa ai romanzi di McCarthy, 'Il signore delle mosche' di Golding, 'Io sono leggenda' di Matheson e, perchè no, Cecità di Saramago; e potrei citarne tanti altri perchè effettivamente gli spunti non sono pochi.
E' quindi da ammirare, secondo me, il tentativo dell'autore di districarsi in questo genere così abusato cercando di far emergere qualcosa che sia percepito come nuovo, diverso.
E credo che lo scopo sia stato in parte raggiunto facendo leva soprattutto sull'escamotage di ambientare la catastrofe in una regione come la Sicilia, per noi più familiare e vicina, piuttosto che la stragettonata landa americana o l'altrettanto scontato contesto della grande metropoli europea.
Insomma, fa un certo effetto se al posto della 'strada' di McCarthy troviamo qui l'autostrada Palermo-Messina, divenuta raccordo arido e desolato tra i ruderi di quelli che una volta erano borghi ridenti e città accoglienti come Cefalù o Torre Normanna.
'Chiuse gli occhi e cercò di immaginare come doveva essere Cefalù fino a pochi anni prima. I turisti che scendevano dai pullman con le macchine fotografiche, i tavoli apparecchiati con tovaglie a scacchi, i camerieri con la salvietta sul braccio e in mano le bistecche con l'insalata, le orchestrine che suonavano sul lungomare accanto ai neri che stendevano le loro borse sui marciapiedi. I pedalò sul bagnasciuga. I ragazzi che giocavano a pallavolo sulla sabbia.'
Anche Anna, la protagonista, seppure ancora ragazza, riflette nel suo personaggio i tratti tipici di una 'femmina siciliana', dalla tempra forte, cocciuta, tanto più energica e combattiva quanto maggiori sono le difficoltà che le si abbattono contro o mettono in pericolo la vita delle persone che ama.
'Dopo la morte dei suoi genitori era precipitata in una solitudine così sconfinata ed ottusa da lasciarla idiota per mesi, ma nemmeno una volta, nemmeno per un secondo l'idea di farla finita l'aveva sfiorata, perchè avvertiva che la vita è più forte di tutto. La vita non ci appartiene, ci attraversa.'
Anna è la reincarnazione dello spirito della madre, è la depositaria del 'quaderno delle cose importanti' che la madre le ha lasciato in eredità e che lei custodisce come un tesoro prezioso perchè è l'ultima reliquia del mondo degli adulti, l'ultima traccia di una società fatta di regole, limiti, leggi da rispettare la cui assenza ora è più pericolosa e mortale dello stesso virus.
Per questo Anna è l'unica eroina positiva del romanzo, tutti gli altri, i bambini, sono personaggi negativi, a dimostrazione che abbandonati a sè stessi, senza educatori più o meno severi e senza obblighi da rispettare, sviluppano rapidamente un'indole cattiva e malvagia, manifestando comportamenti brutali ed animaleschi che portano poi all'affermazione della logica del branco.
Lo so, avete ragione e non posso certo darvi torto: c'è molto di Golding in tutto ciò.
Nel romanzo di Ammaniti, però, la visione pessimistica di Golding - per cui non è la società a corrompere l'uomo ma è l'uomo stesso, per sua natura, fondamentalmente 'cattivo' - è solo abbozzata, sfiorata, manca di profondità.
E credo sia questo il limite maggiore del romanzo: l'evento catastrofico rimane quasi fine a se stesso, un semplice pretesto per un racconto fanta-avventuroso senza ambizioni retoriche o di denuncia. E' a malapena percepibile il monito verso l'umanità che invece risuona forte tra le pagine di romanzi come Il signore delle mosche o Cecità di Saramago.
In compenso, Ammaniti sicuramente non lesina in parole nella descrizione degli stati d'animo che scombussolano la ragazzina costretta a barcamenarsi in un mondo divenuto improvvisamente ostile tanto da rendere un'impresa ai limiti del possibile la sopravvivenza quotidiana.
Paura, dolore, ansia, vendetta, sconforto ma anche amore, quello innocente, appena sbocciato per Pietro e subito consumato, annientato: in un mondo in cui la vita si è abbreviata drasticamente anche i sentimenti si susseguono e si esauriscono rapidamente.
'Alla fine non conta quanto dura la vita, ma come la vivi. Se la vivi bene, tutta intera, una vita corta vale quanto una lunga. Non credi? La mano di Anna scivolò sotto la coperta e cercò quella di Pietro. La strinse, e con il pollice gli carezzò le dita.'
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