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Una vita violenta
 
Una vita violenta 2017-01-17 09:12:45 enricocaramuscio
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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    17 Gennaio, 2017
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Un commuovente spaccato di vita reale

Miseria, fame e violenza sono pane quotidiano per gli abitanti della Piccola Shangai, sordida baraccopoli della periferia romana, tutta fango, pietre e immondizia, in un secondo dopoguerra in cui la povera gente si lecca ancora le ferite lasciate dal conflitto e dal regime. Tra accattoni, prostitute, ruffiani e gente che cerca faticosamente di sbarcare il lunario in maniera più o meno onesta, seguiamo le vicende del giovane malandrino Tommaso Puzzilli, ragazzo di vita, sbandato e nostalgico del ventennio. Insieme alla sua cricca, composta da altri balordi come Lello, Carletto, il Cagone, il Zimmio, il Zucabbo, il Matto, il giovane protagonista vive un'adolescenza che oltrepassa i limiti della legalità e della decenza morale, senza studiare né lavorare, passando il tempo tra alcool, coltelli e cazzotti, a vendersi ad omosessuali in cerca di compagnia, a rubare macchine e rapinare benzinai e prostitute. Mentre i suoi compari continueranno a condurre questo genere di esistenza, le dure esperienze del carcere e della tubercolosi cambieranno profondamente l'animo del protagonista, portandolo alla ricerca di una vita tranquilla, di un lavoro onesto e di una storia seria con una ragazza perbene. Per Tommaso arriverà anche una grave e sentita presa di coscienza che ribalterà totalmente il suo credo politico e la sua idea di impegno civile, portandolo ad abbracciare un nuovo ideale e a compiere un coraggioso gesto di solidarietà che, purtroppo, si rivelerà per lui fatale. Pasolini presenta un preciso e commuovente spaccato di vita reale, portandoci nelle miserie quotidiane di sfollati e sciagurati, tra stracci, disperazione e malcostume, dove vigono le leggi del più furbo e del più forte. Lo fa senza giudicare, senza mettere in cattiva luce nessuno, anzi presentando con simpatia anche i personaggi più laidi e abietti e portando il lettore ad immedesimarsi in essi e a comprenderne le pur riprovevoli azioni e i pur inqualificabili ragionamenti. È invece sulle istituzioni che l'autore punta il dito. Senza mai dirlo apertamente, è chiara l'intenzione di denuncia nei confronti di chi lascia vivere la gente in condizioni ai limiti della decenza, ricordandosi dell'esistenza di questi diseredati soltanto quando deve metterli in galera, di chi assegna le case popolari senza criterio né obiettività, di chi si oppone con fare violento e intimidatorio a chi cerca di far valere i propri diritti e le proprie ragioni. Emblematici in tal senso il capitolo dedicato al rastrellamento notturno di Pietralata e quello relativo alla repressione dello sciopero nell'ospedale Forlanini. Lo stile dell'autore è fortemente influenzato dal dialetto romanesco che domina nei continui e briosi dialoghi ricchi dei tipici intercalare del vernacolo capitolino, di parolacce e di folklore, ma si riflette anche sulla voce narrante, sporcandone spesso la correttezza dell'italiano ma aumentando sia la veridicità del racconto che l'empatia prodotta nel lettore. Tipico esempio di romanzo verista, l'opera di Pasolini ci riporta alle vicende narrate dal miglior Verga, dove personaggi in balia di un'avversa provvidenza provano costantemente a venire fuori dalla miseria senza mai riuscirvi, travolti dall'immutabilità della loro condizione che ne frustra ogni velleità di riscatto ed ogni barlume di speranza. “Non era successo niente: una borgata allagata dalla pioggia, qualche catapecchia sfondata, dove ci stava della gente che, nella vita, ne aveva passate pure di peggio. Ma tutti piangevano, si sentivano spersi, assassinati. Solo in quel pannaccio rosso, tutto zuppo e ingozzito, che Tommaso ributtò lì a un cantone, in mezzo a quella calca di disgraziati, pareva brilluccicare, ancora, un po’ di speranza.”

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