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La famiglia di Elisa
Di questo romanzo colpisce il titolo e l’incipit che proiettano il lettore in un racconto a metà tra realtà e sogno, tra verità e menzogna, tra certezze e sortilegio. Elsa, con la voce della narratrice Elisa, ci racconta la terribile storia dei suoi genitori, destinati a non amarsi in vita, imprigionati in uno strano rapporto illusorio, simile a un gioco crudele, che congela i giocatori in un quadrato amoroso in cui ognuno ama e non è riamato. Edoardo non può amare nessuno se non se stesso; Rosaria ama Francesco, il padre di Elisa; Anna, madre di Elisa, ama il cugino Edoardo; Francesco ama Anna, sua moglie, che non lo può vedere.
La fonte di ogni disarmonia sembra essere il Cugino Edoardo, una specie di folletto, sempre a caccia di piaceri e di amore ma incapace di piaceri e di amore per cui sembra sentire solo per sottrazione e desiderare solo ciò che non ha: geloso, tirannico, crudele, volubile, bugiardo, ambiguo, infantile e candido. Il suo fascino è la fonte di ogni menzogna e sortilegio.
Edoardo ruba Rosaria a Francesco, forse geloso del sentimento dell’amico che lui non riesce a provare e fa sì che lui sposi invece la Cugina Anna, sostituendolo. Sia Anna che Francesco amano moltissimo Edoardo che, venerato da tutti, è impossibilitato ad amare altri che se stesso e forse invidia, a chi può, questa libertà di amare per cui scompagina e rovina gli amori altrui insinuandosi come un perfido folletto, una creatura ambigua e senza pace con cui è impossibile arrabbiarsi. Solo Rosaria lo riconosce per quello che è ma viene ugualmente sedotta dalla sua ricchezza (ma non dal suo fascino per cui il suo appare al lettore un peccato veniale). Il rapporto d’amore assoluto tra i due Cugini, così simili nell’aspetto, diventa una riscrittura del mito di Narciso in cui il Cugino diventa per Anna la propria Immagine riflessa e viceversa (significativo lo scambio dei vestiti). Nel rapporto d’amore tra i Cugini tutto c’è meno che l’Amore la cui parvenza è appunto il sortilegio. L’Amore, quello reale, starebbe nel rapporto con le persone vere: tra Anna e il marito, tra Anna e la figlia Elisa e tra Anna e Rosaria. La sua mancanza è anch’essa sortilegio: Anna stregata, riconosce l’amore di Francesco solo per un attimo e solo dopo la sua morte, nell’unico suo momento di lucidità, nella terribile scena delle ciabatte. Il romanzo dimostra, portando la dimostrazione fino alle estreme conseguenze, come l’Amore quando è un’idea e non si sporca diventando imperfetta realtà, resta un’irraggiungibile illusione. Perciò ha qualche connotazione infernale: come demoni sembrano i due Cugini eroi del romanzo: lui ambiguo, crudele, doppio, fascinoso, dispettoso come un eterno adolescente e lei altera, orgogliosa, arrogante, disposta al sacrificio come un’eterna vergine nella sua gelida purezza. L’Amore come idea, come Pensiero passa nel mondo portando illusione e rovina mentre la Carità negli umili panni della cortigiana Rosaria si veste di umanità e di compassione. E’ Rosaria la vera madre di Elisa, la narratrice. In un certo senso Elisa è figlia del quadrato e superamento del quadrato. E’ migliore dei suoi genitori perché ha conosciuto l’amore (di Rosaria). Bellissimo il finale in cui Elisa dice che a questo mondo ci sarà sempre un posto per l’innocenza e l’amicizia, fosse pure vestita con le umili spoglie di un gatto.
Il romanzo è molto bello anche se dal pdv della scrittura preferisco la seconda metà di Araceli e L’isola di Arturo. Di questo libro mi piace il clima sospeso tra sogno e realtà e quel senso di mistero, di magia, di sortilegio incombente che rende fascinosa e coinvolgente una storia di ordinaria patologia.
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Gran bella recensione, anche se non ho letto il libro.