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Quando ci si sente come oggetti smarriti
tutti è capitato, dopo un abbandono, di sentirsi come oggetti smarriti: inutili propaggini di una persona che non c’è più. Qualcuno si trincera nella propria solitudine, qualcun altro metabolizza il dolore nell’impegnativo compito di cercare una nuova felicità.
Michele appartiene alla prima categoria, Elena alla seconda. Un giorno questi due mondi, all’arrivo del treno che Michele ogni sera ripulisce e da cui attinge la sua collezione di oggetti smarriti, si incontrano e la vita di entrambi cambierà per sempre.
Sarà Elena a spingere Michele a uscire dal suo sterile ma confortevole guscio, a cercare la madre che pare aver abbandonato il diario infantile di Michele su quell’unico treno che parte da Miniera di Mare, un piccolo sasso che dovrebbe ricondurlo a lei.
Una fiaba moderna, questo libro di Salvatore Basile, che ha la leggerezza della favola di Pollicino e la profondità del Piccolo principe di de Saint-Exupéry da cui è tratta la citazione che lo apre. È pure un romanzo di formazione, di tardiva crescita direi, e una bella storia d’amore che vorremmo continuare a seguire anche dopo l’ultima pagina.
Salvatore Basile, sceneggiatore prima di scrivere questo romanzo, ha dimestichezza con le trame e con le parole, e si vede; ha sincerità e ingegno, rimanendo autentico nel suo mondo inventato. Senti tra le pagine del libro la persona che l’ha scritto, e che io ho avuto il piacere di ascoltare: nel patto di felicità che Elena ha stretto con la gemella e nell’ostinazione con cui Michele insegue infine il suo sogno, nell’invenzione dell’ Orso polare e nell’attenzione verso i sentimenti degli altri, che è anche un po’ la curiosità dello scrittore di storie verso le vite e i pensieri che gli passano vicini. Non a caso, nelle sue presentazioni, Salvatore Basile non si limita a firmare dediche, ma chiede ai suoi lettori di lasciargliene una a loro volta.