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Tristano muore
 
Tristano muore 2016-11-18 13:22:02 enricocaramuscio
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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    18 Novembre, 2016
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Il dolore acuto dei ricordi

Un capezzale, un corpo divorato dalla cancrena, la voce di un vecchio incattivito dalla vita e dalla malattia che detta la sua biografia ad uno scrittore di fama e talento. Tristano, questo è il nome dell’io narrante, racconta sprazzi di un’esistenza divisa tra l’amore e la guerra, tra passioni travolgenti e nemici da combattere, fino all’ultima sfida, la più difficile, quella dura e spietata con la malattia e con la morte. Tristano, italiano eroe della Resistenza Greca, capace di far fuori da solo un intero plotone di soldati tedeschi, guidato dal coraggio e dal sangue freddo, ispirato da ideali di libertà e giustizia. Ma ben presto il nostro protagonista si rende conto che le idee per cui ha lottato sono state tradite, che la ricostruzione dalle macerie della guerra non è andata come lui e molti dei suoi compagni sognavano, che in fondo in questi casi si fa sempre e soltanto una cosa: si sostituisce un dittatore con un altro dittatore. “Gli inglesi e i loro cuginetti hanno due democrazie, quella buona, per consumo interno, e quella avariata rimasta a muffire nei magazzini del tempo, è quella da esportare, adatta ai popoli poveri, tanto i poveri digeriscono tutto”. Tristano detto Clark, per il suo fascino e per quella pettinatura che lo fanno assomigliare a Clark Gable, che ha tutte le donne ai suoi piedi ma soltanto una nel cuore, Daphne, che lui chiamava Mavri Elià per i suoi grandi occhi simili a due olive nere. Di questa donna però l’eroe non parla volentieri, vuole tenere tutto per sé il sentimento che lo ha unito al suo grande amore. Parla invece di Marilyn, una ragazza americana anche lei impegnata nella Resistenza che lui chiama Rosamunda in ricordo di un pezzo di Schubert, o più raramente Guagliona. Un rapporto travagliato, una grande attrazione carnale, un intrico di tradimenti e scorrettezze, un continuo perdersi e inseguirsi che sembra non portarli da nessuna parte. La voce del protagonista è sempre più fievole, il suo racconto sempre più sconnesso, la sua rabbia nei confronti del sistema sempre più accesa, le sue riflessioni sulla storia, sulla politica, sulla condizione dell’uomo sempre più amare. Al dolore provocato dalla malattia si aggiunge quello forse ancora più acuto dei ricordi, dei fantasmi, dei rimpianti, delle delusioni, di quella verità che dimostra quanto è labile il confine tra l’essere un traditore o un eroe, tra lottare per una causa comune o combattere guerre personali. Tristano si rende conto che nella sua vita avventurosa ha pensato di aver conosciuto la paura ma che quella non era vera paura: “…la vera paura è un’altra, quella era una paura da poco, perché aveva il privilegio dell’aleatorio, poteva andargli male, ma poteva anche cavarci le gambe… La vera paura è quando l’ora è fissata e sai che sarà inevitabile… è una strana paura, insolita, si prova una volta sola nella vita, e non si proverà mai più, è come una vertigine, come se si spalancasse una finestra sul niente, e lì il pensiero si annega davvero, come se si annientasse. E’ questa la vera paura…”

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Commenti

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Interessante recensione, Enrico.
Tabucchi, grande scrittore!
Grazie Emilio. Io lo adoro, è uno dei miei autori preferiti.
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