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Una poliziotta in borghese piccola piccola
È la sfrenata corsa del Sì a marcare la distanza tra il quartiere di Secondigliano, dove Genny e i suoi sedici anni abitano insieme alla madre malata di cuore, e il bar di via Toledo, dove l’adolescente cerca di tenersi stretto al suo lavoro. Anche Irene corre, di mattina presto, prima di indossare i panni della poliziotta disincantata. Lo scontro tra queste due vite e la battuta d’arresto inferta loro costituisce l’intelaiatura del romanzo di Andrej Longo, "L’altra madre" (Adelphi, 2016).
In questa riproposizione del tema del ribaltamento dei ruoli tra vittima e carnefice, l’autore conduce il lettore attraverso una Napoli il cui confine tra centro e periferia perde nitidezza quando ad oltrepassarlo è un motorino guidato con scaltrezza o un’auto della polizia a sirene spiegate; tuttavia, troppo difficile era aggirare gli stereotipi che questa ambientazione prepotentemente reclama e Andrej Longo, nonostante una grande sensibilità nel tocco, non sempre ci riesce.
Il motivo è quell’ambizione di raccontare per mezzo di un italiano regionale che, lì dove non si esercita con perizia da storico della lingua, rivela una mimesi del parlato inefficace, incatenando i personaggi a ruoli che, più che dal disegno originale dell’opera, sembrano imposti dal contesto in cui si muovono. Tipizzazione che spesso urta (Genny e i suoi motti 'devono' suscitare il sorriso perché è un ragazzo di estrazione popolare che non ha gli strumenti per osservare il mondo, Irene 'deve' essere rude, fredda perché è una poliziotta che cresce da sola sua figlia in una realtà difficile, Tania 'deve' coordinare al giubbino delle scarpe rosa e indossare jeans attillati perché è un adolescente), a discapito di un’astuta strutturazione del romanzo, che si propone di far trattenere il fiato a partire da quel primo capitolo cui segue una lunga analessi, cadenzata al ritmo dei giorni di appena due settimane di maggio.
Val la pena concedersi la lettura di queste pagine per la strenua volontà di trascinare il lettore in quel punto d’osservazione dove ogni azione mostra il cortocircuito che la scatena ed erompe, sorprendente, l’empatia.