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Che fare?
Esautorato da ogni possibile attivismo, esule scampato al disordine interno della sua patria, disilluso dalla sua stessa statura morale che non gli permise di gradire la svolta stalinista del suo partito, solo a Davos, in Svizzera, lo scrittore abruzzese ricercò la compagnia della penna , scrivendo questo importante romanzo, e della sua terra, rappresentandola stretta nella morsa della storia fatta dagli usurpatori, di qualunque specie, e di suoi tre compaesani, i quali immagina a loro volta esuli al suo cospetto.
Inizia così il romanzo, con l’intento di raccontare ciò che è stato di Fontamara, piccolo paese della Marsica, inesistente nella carta geografica ma lì, vivo, nel Fucino, come tanti. Il racconto è affidato proprio alle voci narranti dei tre esuli: padre, madre e figlio. La loro vita e le loro peripezie restituiscono il travaglio dell’intera comunità pur focalizzandosi sul destino di alcuni piccoli uomini e di alcune piccole donne.
Il candore della narrazione affidata ai tre compaesani ha la potenza di rappresentare, senza intermediazione alcuna, in un abile stratagemma narrativo, lo stupore e l’ingenuità di una comunità che ha registrato per secoli la realtà su determinati schemi mentali,su logiche assodate, e che ora non ha alcun strumento per dare lettura alla realtà cambiata. Non ha cultura, il cafone, per evitare gli imbrogli, non ha informazioni per capire il segno dei tempi mutati, non conosce problema che non sia direttamente riconducibile alla sua stretta e grama esistenza. Lo sguardo lungo può giungere solo a capire i minimi scarti registrabili in una corta scala sociale: non c’è movimento, ormai, neppure minimo. Ognuno è condannato al suo stato sociale. Berardo, la figura tragica della narrazione, rappresenta questo immobilismo e il misero tentativo di combatterlo. Le oscure figure che dettano le regole attuali, i fascisti, possono essere contrastate se si vuole modificare la propria condizione; si assiste così ad un’ evoluzione politica dello spirito di questo emblematico personaggio che, mosso da un intento di riscatto individuale, si immola ad una causa senza in fondo capire bene la sua scelta depauperata dalla sua carica idealista, venute meno le premesse individuali che lo portarono all’azione.
La narrazione ha il pregio di restituire l’impatto della barbarie fascista sui poverini cafoni , ignoranti, ingenui, inconsapevoli e vittime fin troppo gratuite di un artificio storico. Le pagine si nutrono di una sottile e amara vena ironica che la realtà stessa determina nel tentativo di decodifica di un quid astruso, incomprensibile, sfuggente che è però capace di suscitare almeno una domanda: “Che fare?”
Amaro ma fondamentale.
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