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Ho vissuto due vite, molto diverse tra loro
Fresco fresco di premio Cesare Pavese 2016, “Essere vivi” di Cristina Comencini ha per protagonista Caterina. Figlia adottiva di Graziella, una donna piena di vita e di esuberanza, Caterina (“Ho questa capacità, mi viene dall’infanzia: vedo qualcuno e associo velocemente delle scene, delle situazioni”) sente di avere due anime (“Io ho vissuto due vite, molto diverse tra loro”), una legata alla vita prima dell’adozione, l’altra cronologicamente successiva (“La mia seconda madre vedeva i primi sei anni lontani da lei”): due essenze distinte e configgenti, che non si sono mai fuse in modo armonico e che emergono con prepotenza quando da Atene giunge la notizia inaspettata del suicidio della madre. Possibile che una donna così volitiva e innamorata della vita abbia deciso di seguire la sorte di Sebastiano, l’artista bipolare per il quale Graziella ha abbandonato il marito?
Caterina ricostruisce la vita greca di Graziella per cercare di comprendere le ragioni del gesto estremo, e lì conosce Daniele, il figlio di Sebastiano, anch’egli (“Un matto, figlio di un pittore squilibrato”) giunto sul luogo del doppio suicidio per i tristi riti del riconoscimento e delle esequie. Si sviluppa così una nuova relazione, per certi versi indefinibile (di fratellanza, di amicizia, di incerta attrazione) sino al finale misterioso e vertiginoso a Capo Sounion, di notte…
La breve storia riecheggia le atmosfere elleniche della tragedia e, sotto gli influssi di “Zorba il greco” (citato nella dedica iniziale e nel corso del romanzo), incontra i gusti di chi ama il dramma (“Del mio intuito fulmineo, alle persone preoccupano le capacità che non sono razionali”) soprattutto a sfondo esistenziale (“La vita è un posto dove c’è tutto quello che serve per goderla”).
Bruno Elpis