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Un altro romanzo di formazione (ben scritto)
Enrico è uno scrittore esordiente: cioè, Enrico è uno scrittore esordiente da quasi dieci anni, uno di quegli scrittori di un unico, fulminante, ed ultimo libro. E poi più niente: la rincorsa affannosa all’idea per il secondo libro, quello della conferma; la rinuncia apparentemente serena e il rifugio nella defilata posizione di ghost writer, scrittore di libri altrui. In parallelo, una vita personale altrettanto bloccata in un galleggiamento senza meta: un amore lasciato finire senza opporre resistenza, una città elettiva (Firenze) che lo ha accolto senza diventare casa. Tutto vissuto in una placida accettazione: non fosse per quel dolore acuto e improvviso al gomito, quasi un imprevedibile sussulto di coscienza.
Finché, un mattino come tanti, la lettura distratta di un giornale fa riemergere un nome dimenticato che spinge Enrico ad un viaggio a ritroso verso un passato lontano e verso la città natale, Bari. Comincia così un percorso di formazione (o ri-formazione o ri-parazione) in due direzioni opposte e parallele, contrassegnate dalla diversa titolatura dei capitoli che si alternano: in rigoroso ordine numerico quelli che narrano in maniera lineare il presente, quello dell’uomo adulto, scrittore in crisi, nel suo girovagare tra le strade di una Bari cambiata e al tempo stesso uguale a come la ricordava, tra epifanie attese (il fratello non più così inarrivabile e non più così estraneo, l’amica del cuore della gioventù, che ha attraversato il dolore rimanendo se stessa) e inaspettate (una barbona filosofa e un pescatore-professore che sa ascoltare). Con il nome del protagonista, Enrico, sono intitolati i capitoli che ricostruiscono per flash retrospettivi un anno di liceo del protagonista: l’anno in cui tutto è cambiato, quello in cui ha conosciuto la politica e la violenza, l’amore e la scrittura, quando Salvatore e Celeste hanno brevemente incrociato le loro esistenze con la sua.
I due percorsi sono destinati a ricongiungersi proprio lì dove sembravano entrambi destinati ad interrompersi, ovvero “sull’orlo vertiginoso delle cose”, al di là del quale, per chi osa sporgersi, si rivela una possibilità di futuro.
Romanzo gradevole, ben congegnato nella struttura narrativa che rende un po’ meno scontata l’eterna formula del Bildungsroman. Peccato che l’edizione supereconomica della BUR (o almeno la mia copia) contenga diversi errori di impaginazione