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Cara terra mia
“Da quando mi ricordo, qui da noi sono venuti dapprima gli austriaci, poi gli italiani, dopo i tedeschi; infine siete venuti voialtri. Tutti se ne sono andati, ed erano più forti di voi. Io stesso ho visto cadere prima l’aquila, poi il fascio e la croce uncinata. Perché un giorno non dovrebbe cadere anche la falce e il martello?”
Con questo interrogativo Francesco Kozlovic’ sfida il potere, la prepotenza, l’ingiustizia, semplicemente presentando la verità storica che anche un umile colono è in grado di constatare: Materada è terra di confine, terra schiava, terra bella e meravigliosa ma destinata ad essere posseduta. Qui il secondo dopoguerra sancisce l’ennesima beffa dei territori spartiti e condanna gli uomini ad una scelta improbabile, innaturale, una seconda vita e una seconda anagrafe. Il contadino di Materada, pur povero e vessato da uno zio imbroglione che lo ha reso nullatenente, dovrà fare anch’egli quella dolorosa scelta, dovrà ponderare bene il destino dei figli, dovrà decidere se mantenere saldo l’atavico legame con la terra, patria e suolo da coltivare, o salutare gli avi sepolti nel cimitero.
Non una riga di questo romanzo si abbandona al lirismo, non una pagina porta alla commozione dell’animo, né un intero capitolo si veste di pianto, eppure con una prosa asciutta, secca, viva e sincera ci si ritrova a patire per il destino di quelle genti, a comprenderne le ragioni, a sperare per loro. Vi sono delle pagine, soprattutto da metà opera in poi, che è difficile abbandonare e, a lettura ultimata, rimane forte nel cuore il sentimento della vita: sincero e pulito, senza fronzoli come la prosa di Tomizza.
Vivamente consigliato.
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