Dettagli Recensione
Uno strazio interminabile
«Grande libro, grande male» scriveva Callimaco nel IV secolo a.C. e forse basterebbe questo per recensire il romanzo (che poi romanzo non è) di Edoardo Albinati.
La scuola cattolica è uno dei libri più strani che si possano leggere: alterna pagine che sono dei capolavori di scrittura (vedi le parti narrative e quelle successive al delitto del Circeo) a dei veri e propri deliri intellettualistico-narcisistici, nei quali l’autore espone le sue discutibilissime tesi sulla vita borghese romana a ridosso degli anni Settanta. Il motivo per cui non si merita più di una stella è che i deliri superano di gran lunga in quantità le pagine scritte bene, tanto da rendere la lettura insopportabile.
Ed è così che scopriamo che secondo il disturbatissimo Io narrante: «vuoi sapere se un tuo amico è frocio? Fallo giocare a ping pong. E osservalo»; o ancora (come se non bastasse la citazione di prima): «Non ho mai capito come mai il più famoso romanzo sulla borghesia italiana, Gli indifferenti di Alberto Moravia, sia intitolato così. […] Forse avrebbe dovuto chiamarsi Gli insoddisfatti» (probabilmente non l’ha mai letto); inoltre che sono autori minori della letteratura italiana Guido Gozzano, Arrigo Boito e Grazia Deledda. Unica nota positiva, l’autore riconosce più volte di tediare il lettore con queste inutili riflessioni, anche se temo si tratti perlopiù di falsa modestia.
Ma il vero problema della Scuola cattolica è che si tratta di un libro completamente inutile, di aria fritta. Descrive con una presunta oggettività (come se bastasse aver vissuto in certi ambienti a diciotto anni per poterli descrivere oggettivamente) l’educazione borghese del tempo partendo dal presupposto sbagliato che Angelo Izzo, Gianni Guido e Andrea Ghira (i tre del massacro del Circeo, evento intorno al quale dovrebbe ruotare il romanzo) abbiano commesso l’efferato delitto perché plagiati dall’ambiente culturale circostante; mentre invece oggi sappiamo che i tre soffrissero di gravissime patologie psichiche totalmente avulse dal contesto storico-educativo del tempo: prova ne è che più di 30 anni lontano da questo tipo di educazione Izzo abbia ucciso altre due persone.
Un libro costruito sul nulla, che parla del nulla e che vale nulla. Stupisce (o forse no) che sia stato insignito del Premio Strega. Chiudo con la lapidaria opinione del critico letterario Giulio Ferroni, che serva da monito a chiunque voglia comprare questo libro: «C’era bisogno di quelle pagine? Se avesse sforbiciato sarebbe stato meglio. L’ho cominciato e poi abbandonato. E ho verificato che si tratta veramente di una reazione di tanti altri lettori che hanno provato a cimentarvisi: è un’opera che richiede molto accanimento. L’esperienza dell Uomo senza qualità di Musil non è ripetibile. E poi si trattava di un capolavoro.»
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purtroppo la mole sta scoraggiando parecchie persone
Grazie mille, recensione utilissima!
Non é la mole del libro a dissuadere dal leggerlo, ma l'ineliminabile impressione di star sprecando il proprio tempo, pagina dopo pagina.
Questo libro non insegna nulla, non fa scoprire nulla di nuovo, non permette di evadere con la fantasia da nulla e non avvince in alcun modo.
Le riflessioni dell'autore sono scontate, banali e tediose, oltre che spesso molto opinabili.
E nemmeno quando sono opinabili, riescono a scuotere, magari attraverso l'innata repulsione per i punti di vista divergenti dai propri.
Approvo in pieno il 3 come valutazione dello stile: la prosa non è dimessa, anzi; sa un fin troppo di abito buono della domenica, ma è d'altra parte l'unico aspetto apprezzabile di tutta l'impresa.
E' davvero il classico libro utile solo per fermare una porta.
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