Dettagli Recensione
Alesa e Ivan
E’ tempo di bilanci per Alesa, russo quaranticinquenne e killer di qualità. Il suo primo omicidio risale all’età di dieci anni e fu determinato, oltre che dalla povertà, dalla scoperta di un non padre e dalla delusione di una madre costretta a vendersi al proprio datore di lavoro, da un’indescrivibile fame, appetito che da quel momento è si è potuto saziare soltanto mediante il versamento di altro sangue. Eppure ora sente che qualcosa si è rotto in lui. I tempi sono cambiati, della disciplina criminale e del relativo credo che esisteva un tempo, non vi è più traccia; i rei sono corrotti fin nel midollo e mirano esclusivamente a conquistare poltrone di potere e ad accumulare denaro.
Ecco perché quando Racov, delinquente di vecchia data nonché candidato per l’alta carica presidenziale russa, gli propone un ultimo lavoro a titolo di “buona uscita” da quel mondo, accetta. Sa benissimo di non potersi fidare di lui, è perfettamente consapevole di chi ha davanti soprattutto considerando quante persone ha dovuto far fuori per suo conto, individui che si erano tramutati da amici in nemici per un semplice capriccio o mero mutamento di interesse. L’incarico che gli viene attribuito è inoltre un qualcosa che va contro la sua natura poiché vittima predestinata altro non è che una donna, Marta Bianchini, figlia di un avvocato con cui il politico smaltiva in Europa flussi di denaro scomodi in madrepatria. Che fare? Andare contro quelle regole e quei principi che gli hanno permesso di sopravvivere tutti questi anni, o scendere a compromessi?
Giunto a Milano, l’assassino viene affiancato da quello che gli viene presentato quale suo successore, Ivan Belov, connazionale con un ruolo, nello svolgimento delle vicende, ben lontano da quello prospettato.
Che dire, il testo ricalca perfettamente quelle che sono le tematiche preferite da Nicolai Lilin tanto che da questo punto di vista non presenta particolari novità. Tutto ruota infatti intorno alla filosofia criminale, alla condizione di povertà, ingiustizia e crudeltà che dal Secondo Dopoguerra ha intaccato l’Unione Sovietica, ai ricordi di dolore – francamente a tratti eccessivi e pedanti – che coinvolgono tanto Alesa che Ivan. Il protagonista principale si distingue rispetto alle precedenti creazioni letterarie dell’autore per la maturazione che va ad avere con questo riscoperto senso di umanità, ma nulla più. Da omicida si risveglia protettore di quella che doveva essere la sua vittima.
Anche dal punto di vista della trama, non vi sono particolari sconvolgimenti. Lilin si sofferma eccessivamente sulla parte nostalgica risultando poco incisivo dal punto di vista dell’azione. In sostanza, i ¾ del racconto si imperniano sul malessere dell’omicida e del suo compagno ed ¼ (circa 40 pagine) sulla risoluzione del problema.
Altro carattere che non mi ha particolarmente convinto è stato lo stile narrativo adottato. Il linguaggio è si fluente ma non particolarmente erudito, a tratti troppo elementare, schematico, impersonale. Non accompagna ne rapisce minimamente il lettore.
Piacevole per chi ama il genere, ma certamente non indimenticabile ed eccelso. Un elaborato senza pretese, da estate, per chi non si aspetta chissà.
«Ci sono tanti modi di comprendere una storia. La cosa più importante sono i particolari, le circostanze. LE storie sono come le persone: non esistono da sole, sono tutte collegate tra loro e insieme formano la vita»
«Sta pensando che la memoria è un corpo unico, non può essere mutilata, ridotta a pezzettini. O vive integralmente o muore per intero. Continuiamo a volare tutti verso l’incognito, le nostre orbite s’intrecciano all’infinito, e la nostra memoria, a quanto pare, vale quanto una discarica elettrica nel vuoto assoluto: è tutto e niente allo stesso tempo»
Indicazioni utili
- sì
- no
no = a chi cerca storie di sostanza