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Non dire mai: di quest'acqua io non ne bevo
Maria ha sei anni, è la quarta ed ultima figlia indesiderata di una vedova disattenta e scostante. Vive a Soreni, un minuscolo paese dell’entroterra sardo.
Il romanzo è ambientato in un periodo storico nel quale, in certe località, era diffusa la pratica del “fillus de anima”, un accordo privato che prevedeva l’affidamento volontario e consensuale di un figlio ad altre persone.
Maria viene “adottata” da Tzia Bonaria Urrai, l’anziana sarta del paese, una misteriosa nubile che tutti sembrano osservare con rispetto e timore.
Tra le due nasce un legame forte. Bonaria dosa saggezza, affetto e severità, permettendo alla bambina di crescere sana e responsabile, consapevole che ci sono cose che possono essere fatte, limiti da non superare e domande che non devono essere poste. Per questo Maria resta in silenzio, soffoca la curiosità, quando scopre che a notte fonda alcune persone bussano alla porta di Bonaria e vede la madre adottiva uscire avvolta nel suo solito vestito nero. Nella piccola comunità di Soreni tutti sanno tutto di tutti ed il conteggio delle dicerie ha raggiunto cifre incalcolabili, ma una tacita consapevolezza impone la presenza di segreti che devono restare tali, per non compromettere la convivenza comune
Un aspetto che colpisce è l’ambivalenza temporale del romanzo. L’attaccamento alle antiche tradizioni, la superstizione spirituale, la descrizione di una natura onnipotente che sovrasta l’essere umano, donano al testo una dimensione arcaica, mitica, fiabesca, collocabile nel secondo dopoguerra.
Allo stesso tempo Michela Murgia tratta argomenti complessi ed attuali, come l’eutanasia, periodicamente alla ribalta delle cronache nazionali.
Con altrettanta curiosità ho notato la disparità caratteriale che divide le figure femminili da quelle maschili.
“Accabadora” è infatti un romanzo incentrato sull’universo femminile. La parte attiva della trama, le decisioni, le azioni compiute, hanno come uniche protagoniste le donne.
Gli uomini, sia per motivi caratteriali che fisici o psicologici, si trovano tutti in una condizione passiva, di reazione più che di azione.
Ho apprezzato meno la parte che precede il finale, un cambiamento di scenario fin troppo sbrigativo e che aggiunge un’ulteriore, eccessiva, tematica importante ad un testo che fino a quel momento si regge su un equilibrio perfetto.
Ma questo aspetto non scalfisce particolarmente il valore di un romanzo importante, maturo e ben scritto, vincitore del Premio Campiello nel 2010.
“Le colpe, come le persone, iniziano ad esistere quando qualcuno se ne accorge”.
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Commenti
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Confermo le tue perplessità sulla parte, per fortuna relativamente breve, ambientata a Torino. Sono oggettivamente le pagine meno riuscite del romanzo, non tanto a livello stilistico quanto di contenuti. In un romanzo che tratta almeno due argomenti difficili, la Murgia ha inserito in questa parte un terzo tema spinoso ( che non rivelo per chi non avesse ancora letto il romanzo ). Tre argomenti controversi in 160 pagine ? Forse sono troppi.
Per quanto riguarda la tempistica di " Accabadora ", il testo è del 2009 ovvero pochi anni dopo le vicende di Piergiorgio Welby e di Giovanni Nuvoli e contemporaneo al termine della storia di Eluana Englaro. Però è difficile stabilire il confine tra " operazione di marketing " ed esigenza interiore. Forse Michela Murgia ha cavalcato il clamore mediatico creatosi attorno a queste vicende, forse invece aveva un urgente bisogno di trasferire su carta certe sensazioni. Forse entrambe le cose.
Ribadisco tuttavia il mio apprezzamento per il testo, che al netto di alcuni difetti mi ha suscitato sensazioni particolari, ancestrali.
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