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Marianna
Marianna, duchessa appartenente al casato degli Ucrìa, è muta sin dalla tenera età. Eppure ella ricorda, e la signora madre in punto di morte glie lo conferma, di aver udito, di aver parlato. Sa che dalle sue labbra sono usciti dei suoni articolati, e che tutto quel che è stato fatto per tentare di farle riacquistare i sensi perduti è vano poiché la ragione per quale essa ne è stata privata è un trauma subito durante i suoi cinque anni di vita, una violenza che la sua famiglia nega, si rifiuta di voler accettare, custodendolo, tra l’altro, come un segreto che mai dovrà essere rivelato. Mutola e rinchiusa nei suoi pensieri, la donna non ha altro mezzo che la scrittura per comunicare; uno strumento questo che, insieme alla lettura, diventa molto più che un mero tramite per trasmettere le sue volontà e i suoi desideri.
Come consuetudine, per le figlie femmine di buona stirpe non vi è altra scelta per il futuro se non quella di un matrimonio combinato oppure del convento di clausura, soluzione dagli ingenti costi e dunque da limitare a soltanto alcuni dei discendenti. Ma chi mai vorrebbe al suo fianco una compagna menomata irrimediabilmente? Una persona c’è. Ed è così che a soli tredici anni Marianna si ritrova sposata a Pietro, un anziano zio di ben 37 anni più grande di lei, un uomo col quale inizia un percorso caratterizzato da assenza d’affetto e atti sessuali miranti esclusivamente a procreare. Tante le gravidanze a cui la signora Ucrìa è sottoposa, troppi i lutti che colpiscono i suoi cari, fra questi la perdita più atroce sarà quella del figlio Signoretto colpito e stroncato dal vaiolo a soli quattro anni. La morte dell’unico figlio verso il quale davvero la madre ha provato un senso materno di affetto la indurrà a cambiare radicalmente il suo atteggiamento verso il mondo esterno, talché, se da un lato inizierà a rifiutare le attenzioni sessuali di quel “signor marito zio”, dall’altro si rifugerà completamente nella lettura per poi riscoprire il piacere dei sensi, dell’amore con quell’uomo da cui tanto è fuggita, che tanto ha rifiutato, le cui attenzioni ha tanto temuto. Arriverà ad un punto di non ritorno la nostra cara protagonista, cosicché si lascerà alle spalle la sua terra e i suoi averi partendo con la cara, fedele ed ormai trentacinquenne Fila alla volta del continente per far fronte a quella ribellione interiore inaccettabile per l’epoca eppure essenziale per conoscere davvero se stessa.
Dedicato ad un’antenata dell’autrice, “La lunga vita di Marianna Ucrìa”, è un romanzo magnetico che magistralmente ricostruisce usi e costumi, accadimenti, pregiudizi, miserie e povertà della Sicilia del 1700. Fortemente incentrata sulla figura femminile, l’opera invita il lettore alla riflessione grazie al susseguirsi di una serie di avvenimenti testimoniati ed interpretati da solidi protagonisti, capaci, con la loro rispettiva verità e le loro espressioni gergali, di rendere concreta la realtà che viene pagina dopo pagina ricostruita. Perno dello scritto è la donna che con Marianna vince il pregiudizio, vuole rompere gli schemi, uscire da quella mentalità stereotipata e retrograda.
Stilisticamente l’elaborato è caratterizzato da una penna forbita e ricercata nonché è avvalorato da espressioni tipiche siciliane che se da un lato rendono veritiera la vicenda, dall’altro ne appesantiscono il defluire.
«Uscire da un libro è come uscire dal meglio di sé. Passare dagli archi soffici e ariosi della mente alle goffaggini di un corpo accattone sempre in cerca di qualcosa è comunque una resa. Lasciare persone note e care per ritrovare una se stessa che non ama, chiusa in una contabilità ridicola di giornate che si sommano a giornate come fossero indistinguibili»
«Può una donna di quarant’anni, madre e nonna, svegliarsi come una rosa ritardataria da un letargo durato decenni per pretendere la sua parte di miele? Che cosa glielo proibisce? Niente altro che la sua volontà? O forse anche l’esperienza di una violazione ripetuta tante volte da rendere sordo e muto tutto intero il suo corpo?»
«Sapete, alle volte è l’amore degli altri che ci innamora: vediamo una persona solo quando essa chiede i nostri occhi»
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