Dettagli Recensione
Una bella commedia
Questo breve romanzo è una meravigliosa commedia all’italiana ante litteram, visto che l’uscita originale è del 1948: prima che il genere venga reso immortale sul grande schermo, Pratolini ne elabora una versione scritta in cui, mettendo da parte per una volta la predilezione per le tematiche meno gioiose, lascia spazio a uno spirito toscano disincantato e mordace. Grazie a simile sguardo acuto ma in fondo indulgente, viene raccontato il rione popolare di Sanfrediano nel secondo dopoguerra in una serie di figure che, a prescindere dal numero di scene a loro dedicate, sono delineate con precisione e schiettezza tanto da imprimersi con facilità nella memoria: dal coro sui cui spiccano il vecchio e (non così) saggio Barcucci, Gianfranco o il ‘pretendente’ futuro Tirone (come Powell) alle ragazze ognuna con una sua ben spiccata personalità è tutto un combinarsi di personaggi coinvolti ora in situazioni buffe ora drammatiche ma non troppo: Va però sottolineato che il vero protagonista – a dispetto del titolo – è Aldo detto Bob (come Robert Taylor), il piccolo playboy di quartiere che, a furia di giocare con i sentimenti delle sue conquiste poco più che adolescenti, finisce per fare un capitombolo che porterà sempre con sé. Indagato dall’autore in ogni suo pensiero e comportamento, egli si rivela una di quelle maschere italiane, rese immortali da Alberto Sordi, che si dimostrano sbruffone e ciniche nel confronto dei deboli ma sono pusillanimi nel profondo: l’ostentata e vacua sicurezza lo porta prima a cadere senza difese nella trappola che gli vien preparata e poi a subire il destino di una normalizzazione forse più impietosa. Detta trappola – orchestrata da giovani donne indecise tra la passione e la vendetta – cambia l’atmosfera del racconto dal sorriso gentile dell’autunno fiorentino allo sghignazzo che conduce dritto ad ‘Amici miei’ rivelando al contempo l’animo duro e indomito di queste popolane che sanno sopportare, ma non accettano di farsi mettere i piedi in testa in eterno (vero Metello?). Malgrado il trambusto, comunque di baruffe di vicinato si tratta, come paiono indicare gli ultimi due capoversi che riportano il sereno dopo un agitato fine settimana: torna in essi il bonario torno discorsivo che caratterizza la quasi totalità dell’opera regalandole una buona fetta della sua levità. Pratolini si diverte difatti a intessere la storia con riferimenti locali che rafforzano il bel tocco di realtà assieme agli slittamenti della lingua verso il vernacolo non solo nei dialoghi: suddiviso in brevi capitoli dai titoli anch’essi segnati da un tono umoristico, il romanzo fila via appoggiato a un dondolante ritmo interiore rivelandosi capace, in modo analogo a certi dischi di irresistibile pop solare, di raddrizzare anche la giornata più storta.
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