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Un secolo di storia nel microcosmo di una comunità
Guardare la storia del nostro Paese al microscopio, fermandosi non sui grandi numeri degli eventi tragici che l’hanno segnata, ma sui loro riflessi nella più marginale delle comunità, per coglierne meglio le conseguenze sulla realtà umana e sociale e rendere più evidenti i dolori, le lacerazioni e le trasformazioni. Per fare ciò Vassalli pone al centro del romanzo una delle tante, piccolissime località che, nell'intero arco alpino, si trovano alla fine di vallate minori, dove si chiude la viabilità e oltre le quali vi sono solo impervi percorsi montani che portano alle grandi vette. Località diverse, ma con storie e caratteristiche analoghe a quelle di Rocca di Sasso, piccolo comune dominato dal Macigno Bianco, che all'inizio del secolo scorso, quando inizia il romanzo, era collegato con il resto del mondo solo da un’ansimante corriera. Una distanza che non porta, però, a evitare che il percorso della storia lasci anche qui un segno profondo. Storia di una comunità i cui personaggi principali Vassalli presenta con ritratti benevolmente ironici, per nome e professione, ma soprattutto con il soprannome, elemento un tempo determinante per l’identità personale. “Soprannomi dialettali e colti, caricaturali ed ironici, benevoli e malevoli”, a cui Vassalli dedica una piacevole digressione, espressioni di una cultura locale, destinati anch'essi a dissolversi nella trasformazione sociale.
Così come si evolve e dissolve una religiosità profondamente radicata, tale da far costruire cento chiese nella valle più grande, alle quali si aggiungono le due chiese, quelle dei richiamati alla grande guerra e quella dei pochi reduci di Rocca di Sasso. Una fede cristiana che si unisce ad una religiosità naturale che porta tutti, credenti e non credenti, ad un impegno solidale per la realizzazione delle due chiese. Una religiosità che in un secolo si svuota gradualmente, lasciando deserte le cento chiese, prive di fedeli e di tutto ciò che poteva essere sottratto. Vassalli, da vecchio socialista, affida la speranza del futuro ad un’altra religione, quella del lavoro che trova nell'inno dell’Internazionale, nato fra le montagne, la sua bandiera: ma su questo le riflessioni diventerebbero lunghe e forse meno ottimistiche.
Passa la grande guerra, il fascismo, la seconda guerra e la liberazione. Se le due figure di Ansimino e del maestro Prandini, della loro amicizia che diventa contrapposizione sotto la spinta della storia, sono il filo conduttore del racconto questo mantiene però un carattere corale. Vassalli narra non solo le vicende delle persone e della comunità, ma anche il cambiamento dei costumi, con uno stile gradevolissimo, con una penna leggera e profondamente umana, che lascia trasparire talvolta una vena di rimpianto dei costumi scomparsi, come quando confronta l’amore dei nostri tempi “quando gli uomini e le donne sono diventati intelligenti” e l’amore una cosa da nulla, un amore veloce, con l’’’amore lento ( e stupido) di una volta fatto di sguardi, di carezze, di parole sussurrate o anche solo pensate.
Di pensieri. Di silenzio. Di nulla”.
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Non colgo però l'alta valutazione come una segnalazione : le mie scelte di lettura veleggiano verso altri lidi.
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