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Ragioni dell'anonimato e anni 70
Il terzo volume dell’amica geniale è molto diverso dai primi due e capisco che a qualcuno possa non piacere. A me il cambiamento però sembra positivo. La vicenda delle amiche passa in secondo piano e fa da sfondo a una descrizione/analisi sociologica degli anni 70 con tutto il marasma che essi contengono: nascita del sindacato, Br, lotta continua e così via. Secondo me è proprio questo l’aspetto interessante del volume.
Nelle prime pagine Elena immagina di avere pubblicato un primo romanzo con il nome sulla copertina. Da tutte le seccature che ne conseguono per una donna che abita in un rione, l’equivalente di un piccolo paese, capiamo le ragioni dell’anonimato. Scrivere con il nome è come girare nudi per strada facendo finta di niente.
A parte questo, la prima parte del romanzo è la più bella, e Lila fa da protagonista con il suo lavoro nel salumificio, pretesto per descrivere le condizioni di lavoro degli operai, in particolare delle donne, la nascita del sindacato.
Leggere queste pagine in questi anni in cui siamo al capezzale dei sindacati fa uno strano effetto. Certo l’impoverimento e la perdita dei privilegi ottenuti in passato è evidente come è ancora più triste il fatto che ora il lavoratore non ha più possibilità di puntare i piedi ma deve sacrificarsi per far campare la fabbrica. Nel romanzo c’è un diverso fermento, e la condizione operaia è terribile ma contiene delle possibilità di miglioramento. Le pagine che parlano di Lila sono le migliori come se Elena riuscisse a sentire la vita e le cose soprattutto attraverso la pelle dell’amica. Nello strano rapporto comunque c’è una componente di affetto che è evidente dal calore e dalla partecipazione di queste pagine. Poi Elena si ritrova moglie di Airota, un intellettuale con idee non così innovative e coraggiose. Airota pur nella sua mentalità laica e sinistroide ha dei valori come la famiglia, il rispetto, la lealtà, una diffidenza verso la violenza che gli vengono rimproverate da moglie e colleghi, come se fosse un residuo poco ripulito della vecchia mentalità DC. A me Pietro piace, e anche sua madre Adele e sua sorella, li trovo onesti.
Invece interessante e terribile è la mentalità degli ambienti intellettuali del tempo: la vicinanza con la mentalità delle br, l’idea che l’intellettuale coraggioso debba spingersi oltre ogni limite, e terribile è soprattutto il fatto che dietro queste discussioni e ideologie non c’è quasi mai l’uomo o un senso di solidarietà ma una potente volontà di autoaffermazione. In un certo senso il mondo degli intellettuali fa rimpiangere i Solara. Michele Solara fa per mentalità mafiosa, alla luce del sole, quello che gli altri fanno sotto il mantello “etico” dell’ideologia. Ma che differenza c’è? In un certo senso è come se all’uomo fosse impossibile uscire dal rione perché c’è sempre un altro rione.
E’ bello il modo affettuoso con cui sono descritti tutti gli amici del rione nei loro simpatici difetti, nel loro dire le cose che pensano schiettamente. E’ come se a Elena pesasse il mondo degli intellettuali e rimpiangesse l’immediatezza, la franchezza dell’altro mondo pur nella sua grettezza e nelle sue passioni a volte meschine e mal mascherate. E’ la simpatia che fa il bambino rispetto all’adulto.
Curioso il secondo romanzo di Elena sulla donna creata dai maschi. Immaginando Elena Ferrante uomo, mi pare che se la rida sotto i baffi. In ogni caso la donna come la presenta Elena, la donna emancipata e liberata assomiglia pure a un uomo. E se Elena condanna la donna dell’immaginario di un Airota, tutta casa, marito e figli, anche la donna dell’immaginario Ferrante ha qualcosa che non va e assomiglia alla donna dell’immaginario della nostra società che trova spazio solo se ha pretese da uomo per carriera e ambizione, se è più cattiva di un uomo, se è disposta a sacrificare tempo, affetti, famiglia, figli alla carriera. Oggi, la donna che vuole fare figli dopo anni di lotte sindacali ancora non fa carriera se è nel pubblico e viene licenziata se è nel privato, nonostante la società sia a rischio di implosione per il calo demografico: uno strano caso di schizofrenia sociale. Nella parte finale mi pare che Elena non abbia troppa simpatia per il suo personaggio. Non c’è molta simpatia quando si descrive, mentre c’è quando descrive Lila che è sempre a colori. Pur arrivando davanti all’amica sempre e in tutto, mi pare che la guardi con rimpianto oltre che con diffidenza. Secondo me rimpiange un diverso tipo di rapporto che non è riuscita a impostare con lei, che non contenesse tante paure e rivalità.