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Prigionieri della loro stessa realtà
Roma, 7 novembre 2005. Il corpo senza vita di un uomo è rinvenuto tra le acque del Tevere. Lo stato di decomposizione è tale da renderne impossibile il riconoscimento. Chi è costui? Com’è morto e perché? Che si tratti di un decesso accidentale? Di un suicidio? Oppure dietro questo si nasconde un crimine efferato?
Da questa premessa ha inizio e si sviluppa “La voliera dei pappagalli”, seconda opera di Anna Maria Balzano, autrice capace con la sua scrittura elegante e ricercata, di accarezzare l’anima del lettore, mostrando allo stesso articolate e multiple realtà sociali.
La scrittrice inquadra i suoi personaggi in quella fase della vita dove gli obiettivi tanto agognati sembrano essere stati perseguiti e quella stabilità tanto ricercata finalmente raggiunta, eppure, nel momento in cui le circostanze li chiameranno a raccogliere quello che hanno seminato, tutte queste sicurezze si dimostreranno quali fragili, fallaci ed inconsistenti illusioni. Siamo davanti ad un gruppo di uomini e donne, tra loro interconnessi da relazioni umane nonché accomunati da esperienze di vita diverse ma che indipendentemente dal loro naturale scorrere ed evolversi, sono state tali da indurli in una prigione soltanto apparentemente diversa da quella prevista per il reo in un istituto penitenziario, ovvero in una detenzione dettata dalle mura di casa, dalla conduzione di una esistenza stretta e delineata dagli schemi rigidi e dalle regole della quotidianità.
Ed è soprattutto nella parte centrale che chi legge ha modo di soffermarsi su tale assunto. In questa assistiamo infatti alla riflessione di Matilde di fronte a quella voliera oggetto dei sogni di una bambina e di poi delle osservazioni di una giovane donna sempre più adulta, considerazione che si contrappone istintivamente a quella di Umberto che, dopo tanti agi, si ritrova privato di tutto, in primo luogo della propria libertà.
E tra le vicende che vedono quali protagonisti Maria e il marito Gustavo, o ancora Giovanna consorte di Umberto e madre di Matilde , Benedetta coniuge di Marco e Giorgio, amico e collega, affiancato dall’ormai anziano cane Lillo, “La voliera dei Pappagalli” si dimostra essere uno scritto ricco, profondo, che invita a ridestare i valori per ridimensionare il ruolo delle apparenze, del benessere materiale, a non crogiolarsi nella ormai sempre più costante routine, a vedere con la prospettiva altrui quella che è la propria e più intima realtà. A tal proposito significativo è il ruolo di Benedetta, femme fatale di grande charme ma anche di disarmante freddezza ed insensibilità.
Un’analisi psicologica che si intensifica e rafforza pagina dopo pagina fino a condurre il lettore a quella che è la domanda da cui non ha scampo: può bastare aprire le porte di una gabbia per volare via, per fuggire dalla prigionia? Quando la vita stessa è divenuta una galera, può essere sufficiente uno spiraglio per essere liberi? E’ l’uomo disposto a rimettersi in gioco, a vincere quel senso disarmante di oppressione o in realtà quella condizione di apatia è tale da impedirne qualsiasi fuga, qualsiasi nuovo inizio?
Questi sono soltanto alcuni dei molteplici interrogativi che l’elaborato racchiude, sono soltanto taluni degli aspetti cruciali di quello che è un volume ricco di profondità, introspezione, umiltà, malinconia, ma anche speranza.
Con uno stile unico e personaggi concreti e tangibili, Anna Maria Balzano ci ha regalato un’altra perla di rara bellezza. Grazie Anna!
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Mi lusinghi, il piacere e la gratificazione è tutta mia
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