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Livido come un plumbeo autunno
Quando Giuseppe Dessì scrisse nel 1955 I passeri, aveva già dato alle stampe un romanzo di intensa umanità e anche di speranza come Michele Boschino, un’opera in cui è presente un’accentuata identità fra l’uomo e la natura in cui vive. Ebbene I passeri è tutta un’altra cosa, racchiuso fra i muri di una vecchia casa, tanto che sembra che gli esterni non esistano, che quei mattoni costituiscano, al contempo, un rifugio e una prigione per chi vi abita, in un autunno livido che si scioglie in un inverno per nulla radioso. È un romanzo di lancinanti solitudini, di personaggi che vivono senza la speranza di un domani, stretti nell’abito cucito loro addosso dal destino e da cui nemmeno cercano di uscire o di ribellarsi a una condizione a cui, tutto sommato, sono indifferenti. Viziato da una trama complessa che non di rado mette a disagio il lettore e con uno stile che non sembra quello dei romanzi di Dessì che ho già letto sono rimasto francamente un po’ sconcertato, perchè sembra il risultato di un’opera concepita in un periodo di depressione, scura com’è, uno sfogo disperato a uno stato di sofferenza interiore che non sempre il lettore si sente di accettare. A scanso d’equivoci, non è che I passeri sia sconsigliabile, ma per l’impostazione, i toni, l’intricata vicenda, la staticità credo non si possa far rientrare fra i libri più riusciti di Giuseppe Dessì. È un peccato, perché mi ero abituato bene con le opere di questo autore e quello che mi auguro è che si tratti di un caso isolato, di un momento poco propizio e infelice nella sua produzione, almeno per quanto riguarda i romanzi che ho già letto (Paese d’ombre, Il disertore e Michele Boschino).
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