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Stand by me
“Vorrei che la mia intera vita fosse composta da prime volte”. È un’affermazione di Lucien Carr, il personaggio interpretato da Dane DeHaan nel film “Kill your darlings”.
L’adolescenza è il periodo che incarna maggiormente l’essenza di questo pensiero, perché in quegli anni schizofrenici proviamo emozioni nuove, chiassose, intense, tentando di scoprirci in una serie di esperienze che hanno il sapore unico della prima volta.
Anche Demo, il timido e impacciato sedicenne protagonista del romanzo, si trova in una situazione che non si era mai verificata prima. Siamo a Milano, nell’agosto del 1982. La famiglia è partita per le vacanze e lui è rimasto a casa per preparare gli esami di riparazione di italiano e latino, pregustando la prospettiva di un mese di agognata libertà da trascorrere insieme ai migliori amici. Per la prima volta si sente il padrone di casa. Anzi, il padrone di due case. Perché con Fabiano, coetaneo carismatico e coraggioso, ha scoperto una piccola abitazione abbandonata sul Naviglio della Martesana. È una di quelle scoperte capaci di cambiare il corso un’estate intera. Il rifugio, rinominato “regno degli amici”, accumula ben presto sigarette, alcolici, hashish, giochi di società, musica e riviste erotiche.
Alla festa si aggiungono Elia, detto il Profeta, uno stralunato dispensatore di sentenze e aforismi incomprensibili a tutti tranne che a se stesso, ed il maturo e riflessivo Ric Velardi (personaggio ricorrente nei libri di Montanari).
Intorno ai ragazzi una Milano calda, vuota, periferica e colma di luoghi sconosciuti fino a poco tempo prima, forse perché troppo affollati per essere notati.
Il romanzo di formazione non rappresenta una novità in ambito letterario, con schemi e procedure ormai collaudati a cui l’opera di Montanari non sfugge. Un gruppo di personalità molto differenti le une dalle altre, l’incoscienza giovanile priva del calcolo delle conseguenze, il flusso continuo di dubbi e pensieri che trovano terreno fertile in una testa ancora troppo sgombra, il tipico cameratismo maschile, la speranza che l’amicizia duri per sempre e sia assoluta. In un’età in cui i sentimenti vengono estremizzati e le litigate e i tradimenti assumono dimensioni da poema epico, è commovente la capacità di fidarsi ciecamente dei propri migliori amici, nella romantica e tenera sensazione che ci saremo sempre gli uni per gli altri, colonne portanti di un futuro incerto. L’amicizia adolescenziale non è totalizzante e inebriante come l’amore, ma forse sa essere più pura, sincera, incondizionata.
Ecco, l’amore. Un sentimento possessivamente esclusivo, che qui trova fisionomia nelle vesti di una selvaggia quattordicenne e spazio in un terreno di scontro antitetico con l’amicizia. È da questo contrasto che Montanari, con la consueta abilità, dà una sterzata alla vicenda e con cinismo mescola comico e tragico, sacralità e contaminazione, bellezza e violenza, inesperienza e scoperta.
Parafrasando il finale di uno splendido film come “Stand by me”, probabilmente non avrò mai più amici come quelli che ho avuto da adolescente. Gesù, ma chi li avrà?