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Miscuglio molesto
Il romanzo è un miscuglio di più elementi, alcuni dei quali francamente mediocri, ma uno su tutti spicca salvando in qualche modo tutto il resto: la figura di Amalia, che ha scelto di togliersi la vita, e le indagini introspettive della figlia Delia, che vive un lutto in apparenza composto ma talmente intriso di sensi di colpa e congetture da farle sfiorare la demenza.
Ed è in questo stato onirico di quasi demenza che procede la narrazione, sullo sfondo di una Napoli descritta a tinte fin troppo fosche (sembra che lo sport preferito dei partenopei sia inveire contro qualcuno a suon di oscenità).
Delia al funerale non versa lacrime ma sangue, concetto su cui nelle prime pagine ci si sofferma in maniera irritante, specificando i cambi di assorbente (per fortuna l'emorragia dura poche ore), al punto che la frase che apre un nuovo capitolo - “Ero forte, asciutta, veloce e decisa” - fa più che altro pensare ad uno spot pubblicitario.
Non è l'unica défaillance del libro: stranamente non si apre alcuna inchiesta sulle circostanze misteriose del suicidio, i congiunti non vengono interrogati e la casa della defunta resta accessibile a chiunque ne possieda le chiavi.
Emerge potente dalle pagine, con una quintalata di torbidi ricordi, un affetto viscerale, irrisolto, venato di desiderio fisico verso una figura materna enigmatica, o vista come tale, “modellata” per anni dalle botte del marito geloso, artista fallito: la solarità di Amalia dà sui nervi all'uomo, il suo sguardo stupito di fronte ai pugni lo insospettisce, ogni suo respiro gli sembra un anelito di vita che vorrebbe soffocare.
La gelosia morbosa del padre si trasmette fatalmente a Delia, che dal canto suo non perdona alla madre il ricordo infantile della paura dell’abbandono, il sospetto di una vita segreta da cui lei era esclusa, di un amante che si appropriava di tutte le carezze.
Viene da pensare che, inconsciamente, abbia sempre preferito allontanare il dolore considerando Amalia colpevole piuttosto che vittima innocente, o farsi anche lei carnefice, prendendone le distanze.
Questo dilemma psicoanalitico, che è il fulcro del romanzo, è anche la parte più interessante e avrebbe meritato una cornice più onesta, circostanze più verosimili.
Di molesto, alla fine, c’è soprattutto l’idea, certamente generata da una mente maschile, che una bambina di cinque anni possa trarre piacere dagli approcci sessuali di un sordido vecchio, e la sensazione di un odore sgradevole proveniente dalle pagine (dalla città asfittica, dai personaggi squinternati), a cui si aggiunge una certa insofferenza nei confronti della protagonista, sgraziata, apatica, asessuata: probabilmente il prodotto finale di più autori.
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Commenti
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@Mario, mentre nell'Amica geniale prevaleva l'elemento femminile qui l'impronta mi sembra maschile nel rapporto un po' edipico con la figura materna e in diversi particolari che non sto ad elencare, per esempio l'attenzione quasi feticista per gli indumenti intimi.
E poi, come ho già scritto, una donna sa che una bambina non potrebbe in nessun caso gradire le molestie sessuali di un vecchio.
@Silvia e @Bruno, penso che nel rapporto tra scrittore e lettore debbano esserci onestà e trasparenza, concetti che in questo tipo di romanzi latitano. L'intervista di Nicola Lagioia sarà una bella pastetta fatta ad arte.
Ritengo il successo di questa scrittrice - o scrittore- un mistero insondabile
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Il tuo bel commento mi ha ulteriormente convinto che questa sedicente scrittrice non fa proprio per me: avverto qualcosa di respingente, come qualche volta mi è capitato anche per altri autori. Che poi sia ai primi posti nelle vendite è una questione che riguarda più la sociologia che la letteratura.