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Pentagramma del musicista, pagina bianca del poeta
Paolo Maurensig assume il gioco degli scacchi per rappresentare la “Teoria delle ombre” e formula le proprie ipotesi romanzesche (“Lascio che la mente mi trasporti in quella lontana primavera del 1946”) sulla morte di Alexandre Alekhine, un campione sovietico per il quale il gioco non fu soltanto un mestiere, ma una vera e propria filosofia di vita.
Il passato ambiguo di Alekhine (“Per i francesi era un collaborazionista, per i sovietici un traditore”) e il suo presente di alcolizzato, autolesionista e doppiogiochista danno spazio a una ricostruzione artistica diversa da quella fornita dalla polizia portoghese, che archivia la morte del campione in modo sbrigativo e superficiale.
Mentre la scena europea è dominata dal processo di Norimberga, gli ultimi giorni di vita del campione scorrono malinconici sotto l’egida di un'incipiente amicizia con un violinista ebreo, tra passeggiate sino al faro, la comparsa di minacciose presenze (“E ora era comparso anche questo Boronov, guarda caso maestro di scacchi…”), qualche indizio inquietante (“Le due buste trovate sotto la porta”), una partita giocata alla cieca per avvantaggiare l’avversario e una festa che diviene un processo nell’immaginazione del protagonista.
L’allegoria degli scacchi è potente (“La scacchiera è stata il mio mezzo di espressione artistica: la tela su cui dipingere, il pentagramma del musicista, la pagina bianca del poeta”) e viene utilizzata con abilità sia per riflettere sulla vita (“Uno degli indicatori dell’arte è il rischio. Senza rischio non c’è alcuna creazione”) e sulla morte (“Ma giunge sempre il momento, pensò, in cui cadono tutte le nostre illusioni, e con esse anche ogni simbolo di protezione e di buon augurio: talismani, formule, preghiere, immagini sacre… ogni cosa. La morte si affronta liberandosi da ogni panoplia: si va senza armi, senza scudi né corazze. In essa si entra nudi come si era alla nascita”), sia per rappresentare una storia a sfondo mistery.
Tra l’altro, mi sono ritrovato in un dettaglio autobiografico, in una specie di gioco scaramantico che facevo da ragazzo, quando recandomi a scuola cercavo di non calpestare le fughe della pavimentazione stradale (“Per lui il suolo lastricato aveva un aspetto magico, le linee che delimitavano le lastre in porfido non dovevano essere calpestate mai, per nessuna ragione”).
Giudizio finale: lusitano, strategico, ombreggiato.
Bruno Elpis
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Commenti
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@ Anna Maria: non avrò copiato le tue valutazioni? ;-) Ciao
@ Laura: lo so che io e te ci capiamo... ;-) Ciao
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