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Lessico famigliare
 
Lessico famigliare 2016-03-25 17:18:15 Mian88
Voto medio 
 
3.0
Stile 
 
3.0
Contenuto 
 
3.0
Piacevolezza 
 
3.0
Mian88 Opinione inserita da Mian88    25 Marzo, 2016
#1 recensione  -   Guarda tutte le mie opinioni

Sbrodeghezzi, Sempiazzi!!

Scritto tra la metà di ottobre e la metà di dicembre del 1962 e di poi pubblicato per la prima volta nel 1963, “Lessico Famigliare” è un romanzo di memorie, quelle della famiglia dell’autrice, ricordi che vengono narrati allo “stadio di elaborazione” ovvero conformandosi a quelle reminescenze che erano proprie di una bambina e successivamente di una ragazza che vi assisteva originariamente con l’ingenuità unica dei primi anni di vita e successivamente con la consapevolezza che l’età adolescenziale e pre-adulta comporta ma altresì privandole di quelle considerazioni che sarebbero consone e consentite alla Ginzburg scrittrice ormai madre, moglie, letterata. E’ un libro in cui la stessa Natalia è poco presente, figurando pochissime volte in prima persona, scelta volontaria finalizzata a dar spazio a quelle che erano le esperienze e le realtà dei suoi cari, con quei genitori con quei linguaggi e quelle espressioni così contrastanti con quelle solite nelle altre famiglie, con quei fratelli così diversi da loro e ciascuno con differenti interessi e mutevoli crescite, ma anche con quegli amici al tempo ancora ignoti e che oggi sono divenuti storia.
Con questo romanzo assistiamo a quelli che sono gli avvenimenti da pochi anni prima dell’ascesa del Fascismo agli anni immediatamente successivi, sino ai primi anni ’60, a voler essere pignoli. I fatti vengono descritti non con il proposito di ricreare un quadro obiettivo e fedele del periodo affrontato bensì con lo scopo di far rivedere al lettore quello che era il clima del tempo; la Seconda Guerra Mondiale vista da dentro, osservata e percepita con gli occhi e con lo sguardo di chi l’ha vissuta.
Stilisticamente il testo fa largo uso del tempo imperfetto per descrivere le situazioni presenti, di realtà familiare nonché del trapassato prossimo utilizzato per indicare un ragionamento compiuto, per inquadrare in una determinata dinamica temporale uno specifico ragionamento, di una prosa fluente, frasi brevi.
Molteplici sono anche i riferimenti a Proust, Verlaine, Croce, ma anche a Pavese che “arrivava da noi mangiando ciliegie [..] quelle ancora piccole e acquose, che avevano, lui diceva «sapore di cielo» p. 146”, Pitigrilli, Turati, Adriano Olivetti, Leone Ginzburg, Einaudi (e la relativa nascita della casa editrice), Fermi, e tutti gli altri protagonisti di quella che è stata l’Italia della prima metà del Novecento. Soprattutto relativamente a Cesare Pavese chiaro è il legame di amicizia intercorrente tra la nata Levi e quest’ultimo, non nascondo di aver sinceramente apprezzato alcuni passaggi ad esso relativi.
E’ uno scritto che può piacere come non, non faccio mistero di averlo trovato a tratti freddo, distaccato, malinconico, incompleto ma anche di averne apprezzati altrettanti aspetti, tra questi la prospettiva descritta capace di trasportare chi legge direttamente negli anni delle persecuzioni razziali, della censura, della paura, della resistenza. A tal proposito piacevole è riscoprire di personalità che ad oggi sono astratte e conosciute dalle nuove generazioni come un ricordo, un mito lontano ed inconsistente. Durante la lettura è interessante apprendere di queste figure, valutarne pregi e difetti, sentirsi al loro fianco, vivendo con i loro occhi della dittatura, della sua ascesa, ma anche della ripresa.
Non indimenticabile, ma sicuramente da leggere.

«Era, il dopoguerra, un tempo in cui tutti pensavano d’essere dei poeti, e tutti pensavano d’essere dei politici; e tutti s’immaginavano che si potesse e si dovesse anzi far poesia di tutto, dopo tanti anni in cui era sembrato che il mondo fosse ammutolito e pietrificato e la realtà era stata guardata come di là da un vetro, in una vitrea, cristallina e muta immobilità. Romanzieri e potei avevano, negli anni del fascismo, digiunato, non essendovi intorno molte parole che fosse consentito usare; e i pochi che ancora avevano usato parole le avevano scelte con ogni cura nel magro patrimonio di briciole che ancora restava. [..] Ora c’erano di nuovo molte parole in circolazione, e la realtà di nuovo appariva a portata di mano; perciò quegli antichi digiunatori si diedero a vendemmiarvi con delizia. E la vendemmia fu generale, perché tutti ebbero l’idea di prendervi parte [..]; ma poi avvenne che la realtà si rivelò complessa e segreta, indecifrabile e oscura non meno che il mondo dei sogni; e si rivelò ancora situata di là dal vetro, e l’illusione di aver spezzato quel vetro si rivelò effimera » p. 165-166

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Commenti

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La prima parte è la più bella, con i ricordi d'infanzia e del padre severo che non tollerava sbrodeghezzi :-))
Interessante, Maria.
A me il libro è piaciuto. Con "Le piccole virtù", siamo al meglio dell'autrice.
Condivido l'opinione di Cristina: la prima parte mi pare più autentica e riuscita,
In risposta ad un precedente commento
Mian88
28 Marzo, 2016
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Grazie Cristina e grazie Emilio, si, anch'io ho preferito la prima pare relativa all'infanzia della famiglia ma non mi è dispiaciuta la parte centrale in cui dà maggiore spazio alle personalità dell'epoca, amiche e vicine alla stessa :-)
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