Dettagli Recensione
Come un feticcio amazzonico
“La testa perduta di Damasceno Monteiro” di Antonio Tabucchi prende spunto da un fatto realmente accaduto.
In modo fortuito il gitano Manolo, detto El Rey, ritrova un cadavere decapitato (“I bambini non devono vedere queste atrocità, si disse, nemmeno i bambini gitani”). Firmino, inviato speciale di un quotidiano di Lisbona, viene mandato a Oporto dal giornale per intervistare Manolo (“Una di quelle voci era balbuziente”) e occuparsi del caso.
Grazie ai suggerimenti di Dona Rosa (“È stata ritrovata la testa...”), la proprietaria della pensione ove Firmino alloggia, indirizzato dalle telefonate anonime di un testimone e imbeccato da un grasso avvocato (“Purtroppo a questo giovanotto non piace la trippa…”) che patrocina le cause dei più deboli, l’inviato speciale ricostruisce le oscure trame di un giro di droga che ha come burattinaio il Grillo verde, alias Titâno Silva, “sergente presso il commissariato della Guarda Nacional di Oporto”.
Il tema della tortura (“Il testimone… è sicuro che Damasceno è stato assassinato dalla Guarda Nacional”) e delle violenze inflitte dalla polizia (“La testa, quella spaventevole testa, era posata su un tavolo di marmo, come un feticcio amazzonico”) viene affrontato in modo intellettuale, letterario e originale attraverso gli stimolanti dialoghi tra Firmino e l’avvocato Don Fernando. “Ci possono essere persone che aspettano lettere dal passato, le sembra una cosa plausibile nella quale credere?”
Giudizio finale: filosofico, legal noir, iberico.
Bruno Elpis