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La narrativa italiana non c’è più
Con Antonio Manzini ci chiediamo se l’editoria sia davvero “Sull’orlo del precipizio”.
Verrebbe da rispondere affermativamente se pensiamo a “Mondazzoli” e all’inziativa dei “libri distillati”…
Con questi spettri che aleggiano nei megastore ove noi lettori strong ci procacciamo “la roba”, è facile lasciarsi coinvolgere dalla tragedia che si abbatte su Giorgio Volpe, scrittore che ha vinto tutti i premi letterari ed è abituato a stazionare ai primi posti nella top ten dei best seller.
Perché la Sigma (“Ma tu sai chi sarà il proprietario di tutto il carrozzone?”) ha fagocitato le tre principali case editrici e con ogni mezzo intende dare una svolta all’editoria orientandola (rectius: asservendola) al mercato (“La narrativa italiana ora si chiama comunicazione in lingua indigena”): con tutti i rischi annessi e connessi, compreso quello di pubblicare i classici riadattati (“Vuole che le legga l’incontro tra i coatti e don Abbondio?” - “I coatti?”- “I bravi, dai.”).
Come può reagire Volpe alle imposizioni (“Tagliare tutti i capitoli su fascismo”) che ben presto si trasformano in ricatti e minacce? Forse smettendo di scrivere (“Il suo ego riuscirà a sopportarlo?”)?
Il racconto incalza al ritmo di una distopia surreale, con tanto di pagliacci, nani e ballerine (“Io – ndr: devo scriverne - una di ricette per una ex velina”). Surreale sì, ma nei paradossi è facile riconoscere la realtà…
Giudizio finale: grottesco, inquietante, amaro.
Bruno Elpis