Dettagli Recensione
Qui è proibito parlare
L'ingeneroso commento di v.v. rivela tra l'altro l'ignoranza di alcuni dati di fatto: Pahor non poteva aver nulla a che vedere con gli "infoibatori titini" semplicemente perché era lontano migliaia di chilometri da Trieste nella primavera del '45, essendo ricoverato in un sanatorio francese in esito alla sua detenzione nei lager nazisti.
Quanto poi alla pretesa "devastazione" di Trieste, v.v. omette di dire che Pahor, come miglia di altri sloveni presenti nei territori annessi all'Italia dopo il primo conflitto mondiale, fu perseguitato per ragioni razziali perché, prima ancora che il fascismo si trasformasse in regime, si voleva negare la pluralità etnica e culturale dei triestini che non erano, come non sono, tutti di nazionalità e di lingua italiana.
In questo libro, ambientato a Trieste nel periodo immediatamente precedente la seconda guerra non vengono nemmeno nominati i lager e v.v. farebbe bene almeno a leggere il riassunto dei contenuti di un libro prima di pretendere di farne la recensione.
Se un giorno lo leggesse davvero, potrebbe coglierne, oltre alla denuncia delle persecuzioni anti-slovene di un regime che aveva negato a quella popolazione persino il diritto di chiamarsi con il proprio nome e cognome, anche lo sconfinato amore che Pahor rivela ad ogni pagina per quella sua patria triestina, che è sua quanto mia.
Ostinarsi a non capire questa comune appartenenza di italiani e sloveni a tanti decenni di distanza dai tragici avvenimenti del primo e secondo dopoguerra giuliano può esser indice soltanto di una manipolazione storica e culturale costruita in malafede, oppure di una desolante ignoranza.
Walter Chiereghin