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Spes ultima Dea
Il 22 agosto 1978 Ignazio Silone, malato da lungo tempo, morì in una clinica di Ginevra. Si chiuse così all’estero l’esistenza di uno che può essere considerato uno dei maggiori narratori italiani, autore di numerose opere di eccellente, se non addirittura notevole qualità. La sua passione per la scrittura non venne meno anche durante la sua malattia, tanto che quando si spense lasciò un romanzo incompiuto, La speranza di suor Severina, più conosciuto con l’abbreviazione di Severina. Il lavoro non era completo, nel senso che c’erano solo gli abbozzi degli ultimi due capitoli, mentre altri erano da rivedere e solo pochi potevano essere considerati definitivi o quasi. Stupì, quindi, quando nel 1981 il romanzo uscì per i tipi della Mondadori; a provvedere al completamento e a quanto necessario per rendere definitiva l’opera fu la moglie Darina, nella convinzione che del marito dovesse rimanere anche questo ricordo; tuttavia, troppo era ciò che non poteva definirsi completato e al di là del fatto che forse l’autore avrebbe magari provveduto a una profonda revisione, ne uscì un’opera che di Ignazio Silone conserva più lo spirito e l’ispirazione che la sua struttura, il che detto più in breve significa che è avvertibile l’intervento di un terzo nella stesura. Ho detto più sopra che pur tuttavia permane l’impronta dell’autore, soprattutto quel motivo ricorrente che si è andato accentuando negli anni e che potrei definire il messaggio di un riscatto dell’uomo che può avvenire solo grazie alla carità e alla speranza, e questo nonostante il pessimismo che contraddistingueva Silone, uomo non esattamente inquadrabile né dal punto di vista politico, nè da quello religioso; infatti un ideale di natura politica era presente in lui, una visione socialista del tutto personale, così come non gli mancava la fede, sebbene non si identificasse in una Chiesa cattolica dogmatica, ferma, incapace di mettere in pratica la dottrina del Cristo fra i suoi fedeli, soprattutto quelli più emarginati. Non sto lì a parlare della trama di questo romanzo, peraltro gradevole, mi limito solo a sottolineare che ancora una volta viene proposto l’invito alla Chiesa di non essere lontana dal mondo, ma di scendere in esso, perchè è inutile parlare di quanto ci ha lasciato Gesù Cristo, se poi non viene messo in pratica; l’eguaglianza non deve essere una vuota parola, la carità non deve essere una gentile concessione, la speranza, negli uomini e in Dio, deve essere la linea guida di un intero operato e così la redenzione e la salvezza non hanno senso se non in una visione collettiva, anziché individuale, come appunto farà suor Severina.
Non aggiungo altro, ma vi invito a leggere questo libro.
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Commento molto interessante. Non conosco questo libro di Silone, autore oggi piuttosto dimenticato.