Dettagli Recensione
Paradiso perduto
Anche questo romanzo come l’amore molesto e i lunedì blu tratta del rapporto madre-figlio, rapporto edipico che si fa con la malattia materna ambivalente e insicuro e che è caratterizzato dalla paura dell’abbandono, una realtà di fatto più che una paura. Il romanzo ripercorre la storia della cacciata dal paradiso materno del piccolo Manuelino, amatissimo dalla prima Aracoeli, la madre-bambina (anche il nome ricorda il paradiso)poi sempre più ai margini fino al periodo dell’aggravarsi della malattia materna in cui il povero bambino diventa invisibile al padre e alla madre. Dimenticato dai genitori è tirato su dai terribili nonni ( le statue parlanti, i due convitati di pietra) che non hanno per lui nessun affetto ma molte aspettative (l'educazione, la mascolinità).
L’approccio con la Morante è stato per me abbastanza difficoltoso. La lettura a un primo impatto sembra incepparsi per le parole obsolete, la lungaggine, lo stile ricercato che si pongono come degli ostacoli. Ci vuole pazienza: ci vuole tempo per entrare nella storia e nel mondo di Elsa, poi la scrittura diventa luminosa e in certe pagine ha dei lampi di assoluto genio, usa delle immagini bellissime. Entrandoci un po' più in sintonia si intuisce che quello che sembrava un gusto retro (in fondo scrive ai tempi di Moravia non di Manzoni) cela invece l'ambizione di inventare per il proprio mondo una propria lingua che usa le parole in modo leggermente diverso dal solito e che suggerisce immagini. La storia potrebbe essere morbosa, scabrosa, torbida in mano a qualcun altro, per esempio al suo ex marito: una madre per un tumore al cervello manifesta una ossessione per il sesso che aumenta di gravità fino a stravolgerne il carattere, a farle dimenticare l’amato marito e l’amatissimo figlio. La cosa bella è che la vicenda scabrosa non è mai guardata con curiosità molesta o compiacimento o con il gusto del torbido ma attraverso gli occhi innocenti e fantasiosi del bambino. Il racconto è magico, tra realtà e sogno, tra fiaba e ricordo. Il miscuglio è bellissimo, e ci sono delle immagini indimenticabili: il mare, Aracoeli, le due statue parlanti, il toro nero, la donna cammello. E’ comunque una storia piena di affetto oltre che di dolore: del figlio per la madre ma anche per il padre, di Aracoeli per marito e figlio, per non parlare del padre che ha per la moglie un amore assoluto e incondizionato, forse eccessivo, nel senso che la madre oscura Manuelino che finisce dimenticato dai nonni e comunque subisce il trauma del plurimo abbandono e la cacciata definitiva dal paradiso. I sentimenti ci sono e sono forti ma non arrivano, si perdono per cui ognuno è allo sbando per conto suo ma con la sensazione di non avere perso proprio tutto. Ognuno si rifiuta di adottare la condanna rigida del mondo benpensante nonostante la realtà della debolezza e del tradimento. C’è la consapevolezza che dietro ogni tradimento non c’è un calo d’amore ma la malattia del corpo e dell’anima contro cui è impossibile lottare. La storia è comunque triste perchè ogni personaggio viene abbandonato a se stesso.
“Io se fisso il cielo stellato fino in fondo, lo vedo tutto una fornace nera, che schizza braci e faville; e dove tutte le energie da noi spese nella veglia e nel sonno continuano a bruciare, senza mai consumarsi. Là, dentro quella fornace planetaria, si sconta la nostra vita. E’ qua, dalle nostre vite, che l’intero Là succhia tutta l’energia per i suoi moti. E allora, io vorrei che venisse il Sabato della paga finale, dove l’intero firmamento si spegne.”
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Complimenti per la bella recensione. Conosco poco la Morante; di lei ho letto soltanto il corposo volume "La storia", che non mi ha entusiasmato.