Dettagli Recensione
L’ultima madre che molti hanno visto
Tzia Bonaria Urrai è l’Accabadora di Michela Murgia.
Di giorno pratica l’attività di sarta (“In ginocchio con il metro di pelle si muoveva rapida come un ragno femmina”).
Di notte conduce una doppia vita (“Ha chiesto lui di me?”).
E interpreta un ruolo (“Io sono stata l’ultima madre che molti hanno visto”) che la vita (“Eroe era il maschile singolare della parola vedove”) e la collettività con le sue pratiche ancestrali le hanno assegnato.
Maria è una ragazza intelligente, rifiutata dalla madre naturale per una sorta di “aborto retroattivo”, manifesta il suo disagio con piccoli ingenui furti. Viene accolta nella casa di Bonaria come “fill’e anima”.
Quando scopre la vera identità di accabadora della propria madre adottiva, si ribella, insorge, fugge… salvo tornare per adempiere ai suoi doveri di riconoscenza nell’occasione dell’agonia della madre adottiva.
Ho trovato molto interessante sul piano etnologico la ritualità di una pratica primitiva (“Gli avete tolto le benedizioni di dosso?”), che in fondo pone gli stessi temi etici dell’eutanasia scientifica.
Altrettanto efficaci sono le rappresentazioni dei riti (“L’attittadora attaccò allora un pianto simile al canto”) e delle liturgie della Sardegna rurale degli anni cinquanta.
Lo stile (“Molte delle cose che accadono non sono che parodia delle cose pensate”) calza a pennello la storia narrata, che ha un notevole impatto emotivo per il tema trattato.
Giudizio finale: etnico, coinvolgente, problematico.
Bruno Elpis
Commenti
5 risultati - visualizzati 1 - 5 |
Ordina
|
Ciao Emilio
rapportando questo romanzo a tanta mediocrità letta negli ultimi anni, mi sembra che possa essere promosso
5 risultati - visualizzati 1 - 5 |