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Non capitoli, ma lezioni
A chi si accinga a leggere Chirù di Michela Murgia - la storia di un’educazione sentimentale e professionale sui generis impartita da Eleonora all’aspirante violinista Chirù – rivolgo un avvertimento: fate attenzione alle parole in sardo contenute nella narrazione!
Sono peraltro convinto di non compiere un’azione di SPOILER se riporto l’ultima frase del romanzo: “Nelle orecchie e nella terra sentivo solo il rumore di una parola ossessiva che non smetteva di risuonare al ritmo inesausto del mio cuore. Una parola in sardo.”
Diversamente, il potenziale lettore potrebbe avere il mio destino: quello di andare – a lettura ultimata - alla disperata ricerca di questa parola nel romanzo, senza più ritrovarla… Salvo immaginarla, questa parola, per fornire l’interpretazione più autentica della vera natura dell’allievo Chirù.
Eleonora è un personaggio che non si lascia amare facilmente, neppure dal lettore: per via del suo essere così didascalica, pur nella ribellione di fondo che la caratterizza. Quasi avesse sempre la verità in tasca, pur nel relativismo del quale la maestra è assertrice.
Lo stile di Michela Murgia è imbastito di paradossi (“A decidere i tagli non è la stoffa”) e di psicologismi, alterna uno stile ricercato ed efficace (“Ci sono bellezze da cui è opportuno difendersi”) a parole troppo dure, quasi stonate, forse giustificate dall’infanzia dolente (“Un piccolo carrello da gelataio bianco e dorato”) di Eleonora, dalla sua esperienza d’indipendenza (“Che meravigliosa contadinella naïve!”) e dal tragico trascorso con l’allievo Nin.
Giudizio finale: tagliente, analitico, a tratti inverosimile (non che un romanzo debba essere necessariamente verosimile!).
Bruno Elpis
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