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Vite da babà
Franco Di Mare è un giornalista istruito e sincero, il suo romanzo è ironico e divertente. Mette di buonumore la storia di Procolo Jovine che nel suo ristorante custodisce e propone i piatti tradizionali di Bauci.
Per Procolo le storie d’amore e le ricette vanno di pari passo: gli entusiasmi dell’inizio, l’attenzione e la cura nella scelta e nella trasformazione degli ingredienti. E' indispensabile l'equilibrio di una mente e di un cuore sani nell’arte amatoria come in quella culinaria. Cucinare è come meditare: la pasta fatta a mano è imperfetta come la quotidianità dei "cristiani". L’alimentazione eccellente, la passione, il metodo e la lentezza rappresentano sicuramente la base per ogni desiderio di benessere.
Proprio nel piccolo paese della costiera amalfitana, Jacopo Taddei, attore della rivoluzione molecolare in cucina, decide di aprire il suo ristorante sensoriale. Sua Schifezza Reale, come Procolo apostrofa il “nemico”, si cimenta fra cibi e trasformazioni, seduzione e composizione chimico-fisica degli alimenti.
Nel romanzo il conflitto fra i due chef diventa pretesto per raccontare caratteri e comportamenti: don Assane, il saggio prete senegalese, il furbo assessore Ludovico Percuoco, il saccente professor Alceste Buonoconto e poi Rosa, la moglie giovane che richiede attenzioni, le cuoche che governano con maestrìa tutta femminile i pettegolezzi, le intuizioni, le benedizioni e le sfide.
La napoletanità, melanconica e speranzosa, e l’arte culinaria, fra tradizione e innovazione, diventano metafore della vita. Il babà è come il matrimonio: gli ingredienti semplici senza “la mano” sicura e geniale non ne assicurano la riuscita. La vita di coppia è come la pasta e fagioli che se è buona, è meglio quando è riposata. Basta distrarsi o amare di meno e il risultato finale è fallimentare per la vista e per il palato.
E’ la predisposizione alla relazione, all’accoglienza del nuovo e del diverso che, infine, salva l’esistenza di ogni persona. L’integrità e la difesa non sono il contrario del contagio e del disonore. A Natale, come per i due ristoranti di Bauci, aprire e godere delle contaminazioni e degli incroci possibili è il più degno messaggio di rinascita.
“Per la riuscita di un piatto l’abilità di chi lo prepara conta al quaranta per cento. Un altro venti per cento del merito va alla brigata, alla squadra che lavora ai forelli e alla preparazione degli elementi base. Ma il restante quaranta per cento va ai prodotti utilizzati, alla materia prima.”p.20
“La tua felicità è vedere la gente che paga il conto con un sorriso, perché l’hai fatta stare bene. Però nessuno se lo immagina che dietro quel piatto così buono ci sta la sveglia alle sette, la spesa al mercato, la stanchezza di una giornata di lavoro che può durare pure quattordici ore.”145