Dettagli Recensione
Stereotipi d'acciaio
La verità (non quella assoluta, ma la mia, relativa) è che la Avallone aveva un gran potenziale tra le mani, ma che non ha saputo ben gestire. Il romanzo è composto da diverse storie e personaggi: vari fili che, al termine, la Avallone non riesce a gestire e che perde strada facendo. Non ci dice cosa succede, ad esempio, ad una serie di sventurati che popolano questa storia; li lascia così: appesi in una bolla che potrebbe essere tutto o niente.
Ho visto invece - non so perché - un po' della scrittura cannibale di Ammaniti, soprattutto nelle ultime pagine, anche se a questo modello l'Avallone ha aggiunto particolari truci che poteva anche evitare (ho finito di leggere il libro a notte inoltrata e mi sono un po' suggestionata, ad esser sincera). Non mi è piaciuto questo finale perché - da romantica quale sono - mi aspettavo qualcos'altro: magari il lieto fine o una redenzione, ma tant'è che lei ci ha riservato tutt'altro.
Per quanto riguarda le due amiche inseparabili, alla fine la scrittrice ci lascia intendere, supporre. Anche qui, però, aveva tra le mani due personaggi che avrebbe potuto gestire meglio; dando loro maggior spessore, invece si riducono ad essere delle macchiette, degli stereotipi. In realtà, è la sorte che tocca un po' a tutti i personaggi del romanzo.
Non so, penso che il tutto poteva esser gestito in maniera differente, magari con una conclusione con salto temporale e che ci mostrasse la vita a Piombino una decina, o meglio ancora, una ventina d'anni dopo.
Mi aspettavo molto da questo romanzo - vincitore del premio Campiello per l'Opera Prima - ma le aspettative sono state, quasi completamente, deluse. Inizialmente si faceva leggere di corsa, poi, mano a mano, il tutto diventava una corsa in un labirinto: stancante ed inutile.