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Ombre di ricordi
La copertina livida preannuncia pagine che non hanno fretta di arrivare in nessun luogo.
… , , , , , , , : mi immergo nella suggestione potente delle parole scelte da Fleur Jaeggy per raccontare l’anatomia di una esistenza appartata.
Le statue d’acqua sono le memorie, come vestali che custodiscono immagini di relazioni che il tempo ha consumato, senza consumarci, condannati a ricordare senza morirne. Perché “dopo la fatica della gaiezza,… anche il piacere di odiare se stessi non era il più raro dei divertimenti”p.61
Parole che sono utilizzate come pennellate di grigio sulla tavola bianca di una solitudine acuta e generosa. Uno stile che entra e che azzanna le viscere. Apprezzo il lavoro sottile di ogni frase che ha un peso di significato, di strumento tagliente, di operazione chirurgica sull’anima.
Non ci sono eventi raccontati, se non la registrazione della sensibilità e della sincerità, senza pelle a protezione, di Beeklam, un uomo senza anni e gravato di tutte le età possibili: un cumulo di isolamento e di solitudine.
Tutta la stanchezza dello scavo nel proprio ventre, alla ricerca di un senso, di uno sguardo che riconsegni le ragioni. Il dolore crede nell’affabulazione e nei fantasmi solleticati dal raccontare senza sosta. Il dolore impara a diluirsi, perde il suo potere devastante. Così l’essere umano, adesso, sopravvive. Il rimanere presso di sé è condizione primordiale.
Le statue e le persone del romanzo, consentono di vivere negli opposti, nella contraddizione. In fondo, è nell’ossimoro l’essenziale, la comprensione della verità. Kaspar e Katrin sono come parti che si ricongiungono di una umanità rovinosamente e colpevolmente dissipata.
Se negli possibili mi riconoscessi amica, sì, desidererei star lì ad ascoltare i silenzi in sintonia di Fleur Jaeggy e Ingeborg Bachmann - alla quale il libro è dedicato – in un bar, a Roma, dove si conobbero.