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In cerca di un padrone
“La zona grigia ha questo di bello, pensava Stalin Rossetti: quando ci sei dentro, sei al centro del mondo, e nulla di ciò che di veramente interessante, di potenzialmente conveniente accade, nulla può sfuggirti. Ma basta un piccolo momento di distrazione ed ecco che sei fuori. E allora la Storia ti passa accanto, ti inquadra con i suoi occhietti maligni e in men che non si dica ti scarta.”
La banda della Magliana non c'è più... è già un fatto passato, storia minore: tutti morti (come il Dandi e il Libanese) o ectoplasmi incapaci di ricostruire un sodalizio criminale che possa tenere in pugno la città.
A Roma è di nuovo il caos. In tutta Italia il caos è ancora una volta protagonista. Come in una congiunzione astrale, dove tanti episodi si incrociano, per dar vita ad una nuova era. Nel mondo, la caduta del comunismo. In Italia, i giudici. Sono loro, inconsapevoli, a scoperchiare il vaso dei mali, a creare il vuoto che deve essere necessariamente riempito, nella lotta impari tra uno Stato messo male e le molteplici trame occulte. Personaggi di tutti i generi – politici di opposte fazioni, agenti dei servizi, mafiosi di vecchia e nuova generazione – cospirano affinché l'Italia, al termine di questo intermezzo di anarchia, finisca “Nelle mani giuste”. Ed ognuno ha una sua opinione su quali siano quelle giuste...
Questo volume, datato, 2007 dovrebbe rappresentare l'ideale sequel di “Romanzo criminale”. Inizia esattamente dove finisce il primo (cioè agli albori degli anni '90), ha tra i protagonisti un protagonista del precedente romanzo (il poliziotto Nicola Scialoja), è scritto con lo stesso stile.
In realtà, a fronte di un precedente così importante, “Nelle mani giuste” fallisce miserevolmente.
Lo stile asciutto, rapido, guizzante di De Cataldo è perfetto per raccontare una concatenazione continua di fatti, che danno contenuto immediato e progressivo ad una storia; quando si prova ad applicare lo stesso stile a sequenze di supposizioni, ragionamenti, teorie che convivono con i fatti e spesso li sostituiscono, l'architettura del racconto è la prima a crollare. La lettura diventa davvero faticosa.
In secondo luogo, la prosecuzione della vicenda di Scialoja rovina il bel ricordo che di questo personaggio ci si era costruiti con “Romanzo criminale”. In verità già nel finale di quel volume si aveva l'impressione di un'accelerata evoluzione (in realtà, involuzione) della figura del poliziotto; una evoluzione che in questo libro si completa, facendo “cappottare” il personaggio su se stesso (fino ad evocare lo strano caso del Dr. Jekyll e di Mr. Hyde, che però aveva tutt'altro intento). E' un peccato: la figura di Scialoja, così complessa nel precedente romanzo, diventa adesso inverosimile.
In definitiva, De Cataldo avrebbe voluto rendere la sensazione del vuoto di potere di anni bui attraverso il racconto di personaggi del “sottobosco”, mantenendo costantemente a vista la storia d'Italia che culminerà con la “discesa in campo” di Silvio Berlusconi (eccole, le mani giuste). Invece realizza un volume sfilacciato, senza mordente, continuamente diviso tra Storia e storie, in un andamento schizofrenico e deludente.
Alla luce di quanto fatto vedere in “Romanzo criminale”, senza dubbio un libro sbagliato.
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