Dettagli Recensione
Semo gente de' borgata
Pasolini è stato, ed è tuttora, un personaggio molto controverso: se ne parla sempre tanto e troppo bene o troppo male.
Quello che sappiamo per certo, al di là della sua vita privata, è che era un grande letterato, e un uomo di profonda cultura e conoscenza.
Amava la gente semplice e rurale,in loro intravvedeva quella schiettezza che è propria del candore e dell'innocenza, non ancora corrotta dal consumismo: gente che viveva ai margini della società, in borgate miserrime, in baracche fatiscenti, che con le piogge si allagavano, e diventavano fiumi di fango, nel quale spesso perdevano la vita.
Pasolini amava i ragazzi di quella realtà, e ne ha pagato caro il prezzo. Giusto, sbagliato? non siamo qui a giudicare un uomo, ma in questo caso uno scrittore, perchè prima ancora di questo era un grande poeta.
Ragazzi di vita è un romanzo realista, che descrive queste realtà.
Racconta, con uno stile lucido e crudo, di questi giovani romani e dei loro espedienti per arrivare alla fine della giornata.
Perchè la povertà vive di espedienti e compromessi.
Ai confini della società il limite tra quello che è giusto, o legale, e quello che non lo è, è molto labile, e sconfina facilmente in situazioni che non possiamo estrapolare da quel contesto. Oggi non avrebbe senso. Come oggi non farebbe scandalo l'omosessualità di Pasolini, o vogliamo dire la pedofilia, in un contesto appunto, nel quale la parola pedofilia neanche esisteva, come dice Alberto Arbasino in un intervista con Marco Belpoliti.
Ragazzi di vita è una minuziosa e a tratti sublime descrizione di Roma (da lui che di Roma non era!), delle sue borgate ai margini della città, e dei suoi ragazzi che andavano a fare il bagno al Tevere.
«Dietro il Parco Paolino e la facciata d’oro di San Paolo, il Tevere scorreva al di là di un grande argine pienodi cartelloni: e era vuoto, senza stabilimenti, senza barche, senza bagnanti, e a destra era tutto irto di gru, antenne e ciminiere, col gasometro enorme contro il cielo, e tutto il quartiere di Monteverde, all’orizzonte, sopra le scarpate putride e bruciate, con le sue vecchie villette come piccole scatole svanite nella luce.
Proprio lí sotto c’erano i piloni di un ponte non costruito con intorno l’acqua sporca che formava dei mulinelli, la riva verso San Paolo era piena di canneti e di fratte. Il Riccetto e
Marcello vi scesero in mezzo di corsa e arrivarono sotto il primo pilone, sull’acqua. Ma il bagno se lo fecero piú a mare, un mezzo chilometro piú in giú, dove il Tevere cominciava una lunga curva.
Il Riccetto se ne stava ignudo, lungo sull’erbaccia, con le mani sotto la nuca guardando in aria»
Il Tevere è il centro del romanzo, con il fiume inizia e finisce, come il fiume scorre la vita, ed il fiume è insieme vita e morte, una profonda metafora.
Le vicissitudini dei giovani si snodano in questo percorso, fatto di malavita e criminalità, che a volte se la cava, ma che spesso ne paga il prezzo, più che con la legge, con la morte. Perchè la legalità qui non arriva, perchè la legge rimane nelle aule di tribunale al centro della città, perchè giusto qui è arrivare a sera con la pancia piena, qualsiasi sia il modo di arrivarci.
«Un cieco con le spalle appoggiate al muro e le gambe abbandonate sul marciapiede
chiedeva l’elemosina. Il Riccetto e Marcello si sedettero appresso sull’orlo del marciapiede, per farsi passare il fiatone, e il vecchio, sentendo della gente vicina, cominciò con la sua lagna. Teneva le gambe larghe, e in mezzo c’era il berretto pieno di soldi.
Il Riccetto urtò col gomito Marcello, indicandolo. – Vacce piano, – borbottò Marcello.
Quando il fiatone si fu un po’ calmato, il Riccetto tornò a urtargli il gomito, con aria stizzita, facendogli un gesto con la mano come per dirgli: – Embè, che famo? – Marcello alzò le spalle per dirgli che s’arrangiasse, e il Riccetto gli lanciò un’occhiata di compassione, arrossendo di collera. Poi gli disse piano: – Aspettame laggiú –.
Marcello s’alzò, e andò a aspettarlo dall’altra parte della strada, tra gli alberelli. Quando Marcello fu lontano, il Riccetto aspettò un momento che non passava nessuno, si acco-
stò al cieco, acchiappò la manciata dei soldi dal berretto e filò via. Appena furono al sicuro, si misero a contare i soldi sotto un lampione: c’era quasi mezzo sacco.»
Il lessico, prendo ad esempio quest'ultima riga, è un misto tra la lingua italiana e il dialetto romanesco, quest'ultimo preponderante ovviamente nei dialoghi. Per l'idioma romanesco si fece aiutare da Franco Citti, e c'è una specie di glossario, che spiega i termini usati e sconosciuti a chi non è di Roma, alla fine del romanzo prima dell'appendice.
Il romanzo esce nel 1955, ma queste borgate a Roma sono rimaste fino ai primi anni '80, e se vi fate un giro in periferia ancora oggi ne potete vedere i segni, il degrado è ancora lì, così evidente che si tocca con mano.
Con questo libro Pasolini viene accusato di oscenità e pornografia, per i temi trattati, soprattutto per quello sulla prostituzione minorile, ma verrà poi assolto, anche per la testimonianza di alcuni intellettuali dell'epoca, tra cui Carlo Bo e Giuseppe Ungaretti.
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Loris