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Afasie generazionali
Pianticelle nate moralmente appassite (i giovani) messe a confronto con le memorie assopite nel bosco desertico di padri assenti. Un abile intreccio di passi sbagliati -ma inevitabili- tra la nostalgia del passato e la repulsione di un presente afasico.
Vorrei spendere le mie parole più belle per parlare di Natalia Ginzburg (nata Levi nel 1916), parole anche di invidia per colei che a ventuno anni di età -e per prima in Italia- tradusse il volume primo della Recherche di Proust.
L'apologia degli scrittori -lo riconosco- è cosa assai triste (al pari della speranza) ma spero che alla Ginzburg vengano riconosciuti i meriti intellettuali -e concessa la fama letteraria- che le spettano, di diritto, oggi.
La sua opera più nota (Lessico Famigliare) edita nel '63, la fece conoscere al grande pubblico d'allora (ma in fondo gli Strega vanno e sono sempre andati di moda) e le consentì di ottenere metà di quel primato italiano riservato agli “scrittori donna” (l'altra metà fu della Morante). Ma al di là dei meriti narrativi la Ginzburg è stata un'abile saggista: “Le piccole virtù” credo sia un piccolo capolavoro e una piccola virtù della saggistica italiana (“Ritratto di un amico” è poi senz'altro lo scritto su Pavese più bello di cui la critica letteraria disponga); ed è stata un'instancabile donna “impegnata”: all'Einaudi prima, in politica poi.
Caro Michele (1973) è un “romanzo ellittico”: la Ginzburg ha infatti costruito un'immensa ellissi omettendo dalla narrazione proprio il personaggio attorno al quale la storia si snoda: Michele.
Il “tema della mancanza” (o meglio “delle mancanze”) viene filtrato attraverso l'artificio della lettera. Molti hanno scritto di Caro Michele come di un romanzo epistolare, e se lo è, di certo lo è in un modo atipico: diversi sono infatti i passi narrativi che si alternano alle missive dei personaggi.
Lo scopo principale -e geniale- delle epistole è comunque quello di trasformare l'ordine regolare degli avvenimenti mantenendone però l'aspetto cronologico. Le lettere fungono da filtro per accogliere la storia da una “prospettiva laterale”, prospettiva che alimenta parallelamente le descrizioni altrui, la propria fantasia e la realtà. Ciò che il lettore si trova davanti è una rete di lettere che i molti personaggi del romanzo si scambiano, lettere che appaiono come l'ultimo debole appiglio che mittenti e destinatari possiedono per restare uniti. Cosa vi sia a separarli? è semplice intuirlo: una profonda crisi generazionale e culturale (siamo all'indomani del 12 dicembre 1969, siamo all'inizio degli “anni di piombo”). La politica entra in questo romanzo, ma di sfuggita, si riesce solo a scorgerla, a intuirla con tutti i suoi risvolti drammatici.
Il vero nucleo del romanzo è la distanza tra le nuove generazioni (nomadi senza scopo né destino che non potranno invecchiare in quanto non sono mai stati giovani) e le vecchie generazioni (deboli conservatori di memorie). Tali distanze riguardano e permeano però tutte le generazioni ad ogni livello: nessuno riesce a comunicare in modo autentico e costruttivo con nessuno.
A fare da sfondo a queste distanze vi è poi una borghesia di facciata, dove articolate famiglie (vecchie e nuove) si sgretolano in un processo lento ma inesorabile in cui vengono annullate tutte le unità spaziali (Garboli ha scritto che le Famiglie della Ginzburg sono in realtà “tribù nomadi”).
L'impossibilità comunicativa negli anni '70 non è più una novità in letteratura, ma la lucidità cinica che descrive come questi personaggi non sappiano più riconoscersi (nel doppio senso di riconoscere se stessi e gli altri) fa intuire la presenza di una miriade di linguaggi differenti e inconciliabili.
Fruttero e Lucentini in una particolare critica al romanzo hanno parlato di “romanzo fantascientifico”, intendendo con tale definizione quella parte catastrofica delle opere di tale genere: i personaggi di Caro Michele sono -per i due scrittori- i sopravvissuti a una catastrofe culturale che ha distrutto ogni forma di intelligenza; per salvarsi essi si aggrappano alle cose (sono moltissimi gli oggetti simbolici con valore affettivo-esistenziale lungo il romanzo) accontentandosi solo di sopravvivere. A tenere unito un mondo in frammenti (oltre agli appena citati oggetti) appaiono a tratti alcuni personaggi con funzioni positive di collante (Angelica, una moderna Antigone)
Si possono cogliere poi due temi molto importanti dalla lettura: il tema dell'educazione nel complicato rapporto genitori-figli, e la crisi identitaria del mondo maschile (è chiave in tale direzione la figura di Osvaldo).
Caro Michele è un romanzo in cui la Ginzburg oltre allo scavo nella memoria -derivato dalla profonda conoscenza dell'opera di Proust- ha avuto modo di ritrarre la propria “triade femminile” (vi sono tre tipi di donne: donne stabili, donne che corrono, donne che camminano).
Concludo scrivendo dello stile di Caro Michele (l'aspetto più incompreso dell'opera): è uno stile volutamente essenziale e sintetico, con una riduzione ai verbi elementari e ai periodi brevi (l'utilizzo continuo del punto offre una narrazione sincopata). Tale secchezza sintattica -allontanandosi dall'introspezione- punta ad una schietta oggettività il cui fine è il rimando ad una “realtà elementare”, la quale non permette lo sfogo dell'emotività (il cui segno è l'aggettivo) poiché sono venuti meno i sostantivi che meritano d'essere qualificati.
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Recensione bella e interessante.
Personalmente, mi sono molto piaciuti "Lessico famigliare", "Le piccole virtù" e "Mai devi domandare". Poi trovo un declino della creatività dell'autrice, che coinvolge anche "Caro Michele", libro che mi è parso un po' spento.
Vedo che tu invece l'hai apprezzato .
Ho apprezzato molto questo romanzo, è vero. Ammetto di essermi soffermato volutamente sugli aspetti positivi, trascurando quelli negativi che pur ci sono (la mancata personalizzazione dello stile espressivo dei mittenti ad esempio). Ma il fatto che un libro generazionale in "presa diretta" sia arrivato da una donna quasi sessantenne, gli ha conferito uno spirito materno e disincantato che mi ha coinvolto e meravigliato.
Ma del resto quella maturata nei primi anni '70 è stata la generazione adatta al sacrificio..
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