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Di noi
Lidia cara,
stavolta lo hai fatto apposta a scrivere un romanzo fastidiosamente delirante e sgradevole. Sì, lo hai fatto apposta, come si fa con i bambini, per metterci in guardia, esagerando, per spaventarci, perché possiamo vedere prima le conseguenze della rottamazione forzata di una generazione, della tracotanza di una classe dirigente che pur di non fare i conti con il limite dell’umano, si disumanizza.
Puntuale, il 12 marzo ero in libreria perché i tuoi libri, da sempre, mi hanno scelta come lettrice. E’ un’opera fantapolitica e racconta di Umberto e della moglie Elisabetta. La coppia, separata da una legge che mette la data di scadenza al prossimo, rimane vigile davanti al potere del Leader Maximo, un enormepiccinomostruoso e davanti alle regole escludenti del Partito Unico.
Tutto è deciso, dal divertimento all’economia, dal tempo dell’accoppiamento al tempo della morte, sotto forma di allontanamento forzato dalla società. Così, non si sceglie più e la paura è annullata e, di conseguenza, invade tutto. E la tristezza del tempo che passa è ingoiata con i calmanti e, così, si muore da vivi.
Il 3 aprile scrivi su facebook: “Con il leggero masochismo che contraddistingue la categoria dei creativi, aspetto il voto”. Zero, Lidia, che è come dieci. Fa male perché la ferita è nella relazione genitoriale che stenta a trasformarsi in passaggio, in feritoia. Il romanzo è il programma politico di un mancato processo di consapevolezza. Se il cammino di analisi e di discernimento ci fosse, offrirebbe profondità ed autorità a chi governa.
Ogni persona ha il suo ’68 da iniziare e da rinnegare e, in seguito, da ricucire, riconciliando le varie fasi nelle relazioni con le figure genitoriali, con se stessa, con gli altri. E’ nel conflitto fra giovani e anziani, fra genitori e figli, la misura di una progettualità possibile.
Rottamare è cancellare, distorcere, generalizzare. Diventare grandi e sani significa, invece, analizzare, valutare e fare il proprio dovere lì dove siamo, perché non c’è un altro posto da conquistare, un’altra vita da inseguire. Che è poi, il diritto alla libertà di imparare ciò che diventiamo.
L’invito è a sentire, con l’udito e con la pelle, l’amore e il dolore, la lettura della storia e la custodia dei racconti. La cura e la speranza come scelta intellettiva ed emotiva è nel reparenting, metodologia formativa che sostituisce la rottamazione.
“Ho immaginato ed elucubrato e poi, senza opporre resistenza, mi sono consegnata a questa fantasia distopica, sinistramente dolce, come certi incubi da cui ti svegli più avveduto, più agguerrito, più capace di guardare in faccia le tue angosce, più forte e perfino più allegro, per il sollievo che, quanto sognato, non sia veramente accaduto. O almeno non ancora.”p.7
Ancora una volta, Lidia, le tue ragioni dicono di me e del nostro tempo.
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