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Io. Io. Io.
Giulio Maria, figlio di Giulio e di Maria, ha trentasei anni è un antropologo ricercatore che fa parte di un gruppo che si occupa dello studio dell’esultanza dei calciatori. Il suo è un contratto a termine, una specie di dottorato ma non proprio un dottorato, una borsa di studio che di fatto proprio borsa di studio non è, così come non è un master, uno stage o un tirocinio. Settecento Euro al mese per circa due anni sono il suo guadagno e a questi si sommano i risparmi – sempre più esigui – di famiglia. Fidanzato con Agnese da più di 4 anni, che quasi sembra aver instaurato una relazione con l'egofono più che con il giovane tante sono le chiamate, whattsappate, messaggiate che la stessa intrattiene con tutti tranne che con il compagno, l'uomo vive in mezzo ai tanti, è un ragazzo invecchiato senza arte né parte, con ancora l'indefinitezza di un giovane e già con la disillusione di un anziano, insoddisfatto e indifferente in quel mondo di futilità.
Non riesce a darsi una spiegazione Giulio dei tanti perché che giorno dopo giorno dettano i ritmi di quella società smembrata, lapidata, derubata, arraffata da quei ladri che oggi accusano col medesimo epiteto altri loro simili, altre e alte istituzioni, pur di non prendersi la responsabilità delle cose.
Perché la parola “io” è diventata più importante del noi? Perché ognuno si sente in dovere di fare spettacolo del proprio vivere, narrando, ostacolando, sommergendo con le proprie parole, con il proprio ciabattare le esistenze degli altri? Perché l'ognuno ha perso di significato? Perché il lontano sta diventando più importante del vicino tanto che conta più intrattenere una relazione di qualsiasi genere con una persona a Timbuctù che con quella che abbiamo al nostro fianco? Perché l'apparenza è divenuta legge e i valori si sono persi nei meandri di un non luogo senza dove e senza quando? Perché a tutto ciò gli uomini sono indifferenti e apatici?
Queste sono solo alcune delle domande che Michele Serra, tramite la voce di Giulio, sussurra al lettore.
Seppur sia un romanzo di appena 152 pagine, “Ognuno potrebbe” racchiude in sé significative massime nonché spunti di riflessione. La sensazione durante la lettura è infatti quella di trovarsi dinanzi ad una fotografia, chi legge riconosce nelle affermazioni dei vari protagonisti, nelle circostanze narrate, esperienze appartenenti al proprio vissuto tanto che vi si ricollega con la mente, ci si sofferma.
Stilisticamente parlando lo scritto è caratterizzato da un linguaggio forbito nonché da grande acume, ironia, e sottile sarcasmo. Un libro che nella sua brevità è sinceramente dissacrante.
Con quest'ultima opera l'autore mette allo specchio l'anima della realtà odierna. E' un componimento dal quale non si resta immuni, è capace di far sorridere ma anche di smuovere chi lo tiene tra le mani.
Da leggersi un poco alla volta così da apprezzarne metafore, sfumature, colori, ilarità. Adatto altresì a tutti coloro che cercano testi di un certo spessore e contenuto.
«E quale sarebbe la sostanza della questione? Mi dice. La sostanza della questione è che il lontano sta diventando molto più importante del vicino, le dico. E siccome il vicino è la realtà materiale, e il lontano solo un'astrazione, noi stiamo facendo deperire ciò che abbiamo a vantaggio di ciò che ci illudiamo di avere. »
«La mia opinione è che ognuno dovrebbe fare un passo indietro. Da tutti i punti di vista. Anche fisicamente. Darsi un poco di spazio, e dandoselo, darne anche a chi gli sta intorno. Come c'è un frattempo tra un'azione e l'altra, così dovrebbe esserci un fralluogo tra una persona e l'altra. E come il frattempo, così il fralluogo serve a dare fiato. Un passo indietro e una parola di meno. A cominciare da me che sto decisamente parlando troppo di me stesso. »
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Commenti
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Come sempre, un bel commento.
Non ho letto il libro. Serra mi pare che sia un autore da un libro ogni anno, e questo alimenta in me un po' di pregiudizio nei suoi confronti.
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