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In tempo di guerra e in tempo di pace
Tra le opere che trattano della Grande Guerra è molto utile segnalare al lettore attento questo scritto di Giuseppe Dessì, autore sardo nato a Cagliari nel 1909, un’adolescenza trascorsa però alle pendici del monte Linas, precisamente a Villacidro, paese che con la Fondazione omonima ne mantiene vivo il ricordo, lo studio delle opere e l’organizzazione di un premio letterario giunto alla sua XXX edizione.
Questo romanzo breve venne pubblicato da Feltrinelli nel 1961 e successivamente anche da Mondadori, oggi è fuori catalogo , chi è interessato alla lettura del cartaceo può ricercare il volume fra i tipi di Ilisso, casa editrice nuorese.
Al centro dello scritto è la piccola comunità di Cuadu (Villacidro) agli inizi degli anni venti quando il ricordo della guerra è ancora così vivo da generare non solo l’iniziativa di erigere un monumento ai caduti del paese, ma anche una serie di moti dell’animo e dell’intelletto che sfociano nel mare magnum dell’istituzione di nuovi partiti politici (Psd’az.) , del dissenso nutrito da rivendicazioni di carattere sociale ( il bienno rosso con protagonisti i minatori del Sulcis già trucidati in una sanguinaria repressione nel 1904 nei moti di Buggerru) e del prevalere della violenza e dei privilegi attraverso l’istituzione dei Fasci di combattimento e l’avvento del fascismo stesso.
La storia nazionale è alimentata da quella regionale, non viceversa. Qui a noi interessa evidenziare il piccolo fenomeno sociale , mirabilmente rappresentato da Dessì, che concorre a innescare le stesse dinamiche che in ambito nazionale portarono al periodo oscuro successivo.
Mariangela Eca è una madre chiusa nel suo dolore privato: ha perso i suoi due figli in guerra e la retorica del ricordo e della celebrazione mal si sposano col suo sentimento più vicino alle parole “inutile strage”, impronunciabili. Vive vicino alla casa del viceparroco Don Pietro Coi e ne è la sua domestica da una ventina d’anni, lo vorrebbe fare a titolo gratuito per sdebitarsi col prete ai suoi occhi capace a suo tempo di curargli il figlioletto col potere della preghiera, e non accetta retribuzione che però regolarmente il sacerdote le versa in un libretto di risparmio. Saranno questi soldi, ormai ingente somma , a muovere l’azione di questa mater dolorosa la quale deciderà di devolverli per la costruzione del monumento funebre, innescando però all’interno della comunità delle dinamiche latenti che porteranno al conflitto aperto tra le varie parti sociali. Progressivamente, attraverso l’uso sapiente della tecnica della focalizzazione, verranno alternati i punti di vista della donna e del sacerdote che lentamente contribuiranno, anche tramite ampie analessi, a scoprire quale vero rapporto leghi i due.
La scrittura asciutta, tersa e limpida arriva più volte al cuore ed è capace di emozionare delicatamente. Poche righe, niente fronzoli e un realismo pungente animano le pagine migliori sulla scia di un debito artistico evidente e riconducibile al Lussu di “Un anno sull’altipiano” e di “Marcia su Roma”, debito non solo letterario ma umano e di pensiero considerato che il messaggio che lascia questo scritto è profondamente pacifista. Il disertore e il fenomeno della diserzione sono l’altro importante punto di frattura, contribuisce ad alimentare il secondo piano della narrazione attraverso l’accostamento all’humus culturale della latitanza da bandito,suscita la riflessione sul potere e sul delicato equilibrio su cui si fonda la legge in tempo di guerra e in tempo di pace.
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Sempre belle e utili le tue recensioni. Conosco l'autore solamene per fama; quindi il tuo commento, per me, è anche un'interessante segnalazione.
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Fede