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Pozzanghere di nafta color arcobaleno
La forza di questo romanzo sta soprattutto nella capacità dell'autore di entrare nella mente dei personaggi, fornendo al lettore molteplici cambiamenti di visuale.
Nelle prime pagine ci si ritrova a guardare il mondo con gli occhi e il cuore di Cristiano, un tredicenne un po' disadattato ma impavido, e con quelli Di Rino Zena, un semialcolizzato disoccupato e pieno di livore contro il mondo.
Padre e figlio, uniti da un rapporto di odio-amore: “Io e te siamo una cosa sola. Io ho te e tu hai me. Non c'è nessun altro. E quindi Dio non ci dividerà mai”.
Poi ci sono i loro due unici amici, perdenti da manuale, e tutta una serie di personaggi secondari sempre ben tratteggiati, di cui scorgiamo per qualche pagina un pezzo di esistenza.
Malgrado qualche occasionale deviazione nel luogo comune, il libro esamina il complesso mondo dei sentimenti senza retorica strappalacrime e cresce in suspense e in ironia con una sottile satira di costume.
Sembra che Ammaniti, tenendo le fila degli eventi, si diverta nel ruolo di un Dio dai disegni imperscrutabili, mentre speranza e disperazione si alternano in un paesaggio squallido e freddo, con alberi spogli che spuntano dal fango e “pozzanghere di nafta color arcobaleno”.
Qualche imprecisione nei dettagli di quello che a poco a poco assume i colori di un thriller non toglie comunque efficacia ad un libro che emoziona, anche grazie a scene incorniciate da colonne sonore azzeccate, marchio di fabbrica dello scrittore.
“L'aquila” di Bruno Lauzi, in uno fra i momenti più intensi della narrazione, spicca fra tutte.