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Siamo l’invisibile di qualcun altro
“Cade la terra” di Carmen Pellegrino è un’opera in tre atti, ciascuno anticipato da versi di poesie bellissime.
Estella (“la sua faccia di patifacula”) ritorna ad Alento dopo aver abbandonato l’abito monacale. Alloggia presso la famiglia più facoltosa del paesino e lì svolge il ruolo di istitutrice del figlio Marcello, un ragazzo asociale e dispettoso. Intanto il paesino sta franando e si spopola.
Nonostante il pericolo, Estella decide di rimanere nel vecchio nucleo (“Non mi resta che il paese, la sua magica impostura”). Nella solitudine visionaria (“Mi chiedo… se ci fu il paese o se il paese fu un sogno, se fu solo una magica impostura”) le fanno compagnia (“È bello il nostro olmo. Non rimane che lui del paese”) le storie dei “bifolchi” (non ricordano “i cafoni” di Fontamara?), personaggi essenziali e veraci dei quali l’autrice interpreta spirito e drammi. L’immedesimazione si realizza in una cena metafisica, alla quale partecipano lo scettico Marcello e… i fantasmi degli abitanti di Alento (“Parlavano di memorie, e d’un paese morto, e d’una terra che fu. Ora vi stagna sopra una gran palude”).
I versi che anticipano i contenuti delle tre parti sono tratti, nell’ordine, da “Amore per la vita” di Alfonso Gatto, “Forse un mattino andando in un’aria di vetro” di Montale, “Il giorno dei morti” di Pascoli.
“Cade la terra” è un romanzo particolare (“Il gallo non aveva ancora cantato, tanto più che non avevamo alcun gallo”), stilisticamente interessante, colpisce per la profondità e per l’efficacia nel cogliere le dimensioni sotterranee della realtà (“Si è sempre l’invisibile di qualcun altro”), esprime solidarietà verso i protagonisti anonimi della storia, realizza artisticamente l’esigenza umana di comunicare anche attraverso le barriere strutturali e culturali, interpreta la preoccupazione per le tragedie ecologiche, demografiche e urbanistiche che affliggono la contemporaneità.
Bruno Elpis
L’occasione è buona per riproporre la poesia di Montale, di rara bellezza e di immenso significato:
Forse un mattino andando in un’aria di vetro,
arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
di me, con un terrore di ubriaco.
Poi come s’uno schermo, s’accamperanno di gitto
alberi case colli per l’inganno consueto.
Ma sarà troppo tardi; ed io me ne andrò zitto
tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.
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