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Sbirro sì, ma "uomo"
L'attualità di questo breve romanzo, evidenziata da tutti quelli che lo hanno letto, è innegabile, e notevole è la struttura narrativa, caratterizzata da uno stile asciutto e ironico.
Sembra quasi un poliziesco, con il morto ammazzato e il carabiniere che dà la caccia al colpevole, mentre la scia di sangue si allunga ad indicare una precisa direzione...o forse due.
Storia di mafia o di corna? La verità è lampante dalla prima all'ultima pagina, ma pochi sembrano disposti a non fare gli gnorri e a guardarla in faccia.
Attuale è l'argomento della trattativa Stato-Mafia e addirittura profetico il passaggio inerente alla “linea della palma” che avanza di anno in anno da Sud a Nord, rendendo propizio il clima per il proliferare dell'organizzazione criminale di origine sicula:
“E sale come l'ago di mercurio di un termometro, questa linea della palma, del caffè forte, degli scandali: su su per l'Italia, ed è già oltre Roma …”.
E' ormai un cult della letteratura il faccia a faccia tra il capitano Bellodi, che dirige le indagini (sbirro sì, ma “uomo”), e il capomafia locale, don Mariano Arena, che fa sfoggio della sue argute opinioni sull'umanità intera:
“... se lei mi domanda, a passatempo, per discorrere di cose della vita, se è giusto togliere la vita a un uomo, io dico: prima bisogna vedere se è un uomo...”.
Intrigante il linguaggio ambiguo che lascia intendere tutto senza dire niente: i favori agli amici, le protezioni, le proposte che non si possono rifiutare senza incorrere nel rischio di deludere gli amici e morire...nel loro cuore, ovviamente.
Lo scrittore traccia un ritratto a tinte più accattivanti che fosche dell'“uomo d'onore”: spietato ma saggio, e giusto, a modo suo. Dell'esistenza della mafia, anche se già attiva e potente, una cinquantina di anni fa era del resto ufficialmente lecito dubitare: dovevano ancora arrivare gli anni del “teorema della cupola” e del maxiprocesso e tutto era più che mai sfumato, affidato ai “si dice” e al fiuto degli investigatori più volenterosi.
Eppure a fine lettura ci si chiede quanti passi in avanti siano stati effettivamente compiuti in mezzo secolo di lotta alla mafia, con l'amara sensazione che perdere a testa alta, alla maniera del capitano Bellodi, sia tuttora il massimo risultato ottenibile.
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Stilisticamente io invece lo trovo il libro più bello di Sciascia, e secondo me merita il successo che ha avuto.
Quando dici che il personaggio di Mariano Arena è accattivante, credo tu abbia ben presente che è l'esatta critica che all'epoca molti mossero a Sciascia, accusandolo di fare dei mafiosi dei personaggi "fascinosi".
Ciao
@Rollo: è una critica che avrei mosso anch'io. La versione idealizzata del boss mafioso è innegabile e Sciascia non poteva non conoscere i soprusi perpretati da sempre dalla mafia contro la povera gente né il fatto che non venissero uccisi solo i “quaquaraquà” ma anche gli uomini veri, anzi, soprattutto questi ultimi.
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Bello il tuo commento. A mio avviso questo libro non è fra le opere migliori dell'autore, anche se è stato quello che gli ha elargito il primo consistente successo. Lo stesso Sciascia ha affermato che non lo amava, come viene riportato da Matteo Collura in "Il maestro di Regalpetra".