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Una forte carica emotiva
Una strada bagnata, una corsa in motorino, un casco non allacciato, un brutto incidente. Angela lotta tra la vita e la morte, nello stesso ospedale dove Timoteo, suo padre, lavora da anni come chirurgo. E l'uomo è lì, in attesa di scoprire la sorte di sua figlia, lottando con il nefasto presente e tormentato da un passato che ritorna, che non è mai andato via. Proprio lì, al capezzale di una ragazzina che quindici anni prima, con il suo arrivo, decise il destino di molte persone, il medico si abbandona ai ricordi, raccontando a sua figlia, a noi, a se stesso, una storia struggente di passione e miseria, di dolore e gioia, di paura e lacrime. Racconta la sua folle corsa, il suo stop non rispettato, il suo casco non allacciato. Il suo veicolo, però, non era un motorino, era l'amore. Ma all'inizio non era amore, o non sembrava tale. Era caldo opprimente, era una vodka di troppo, era la musica di un jukebox. Era Italia, squallida e poco attraente, con i capelli di rafia e l'alito di topo, con vestiti dozzinali e una casa fatiscente. Era un cane cieco, era il poster di una scimmia, una telefonata senza risposta. Era violenza, carne, tradimento. Poi fu ribrezzo, pentimento, odio, ritorno. Poi divenne un piatto di pasta al pomodoro, la più buona che il dottore avesse mai mangiato. Divenne tenerezza, calore, confidenza, divenne scheletri tirati fuori dall'armadio, comprensione, complicità. Finalmente fu amore, amore vero, ma forse, infondo, lo era sempre stato. Ma Timoteo ha già Elsa, ha già una vita, una posizione. Cosa fare? La scelta non è facile e la situazione peggiora quando entrambe le donne gli comunicano di essere in dolce attesa. L'uomo resta come sospeso in un limbo, finisce per lasciarsi trascinare dagli eventi, incapace di prendere una decisione, combattuto tra l'unico vero amore della sua vita e un insormontabile conformismo di facciata. L'epilogo è tragico e, come troppo spesso avviene, sono i più deboli a farne le spese. Dolcemente cattiva, brutalmente romantica, fortemente empatica, la storia di Timoteo e Italia sprigiona un incalzante mix di emozioni che sconvolgono l'animo del lettore provocando rabbia e stupore, disgusto e tenerezza, pianto e sorrisi. Se risulta notevole la carica emotiva, non sono da meno lo stile ben curato e le descrizioni dettagliate. I continui salti temporali, poi, sono dosati alla perfezione e non spezzettano affatto la lettura, anzi la rendono serrata e interessante. Ma il meglio di sé Margaret Mazzantini lo esprime nella capacità di raccontare i sentimenti dei protagonisti e lo fa talmente bene da trasferirli allo stesso lettore che non può sottrarsi dall'immedesimarsi nei personaggi e rivivere le loro stesse emozioni, avere le stesse paure, tormentarsi con le stesse angosce e illudersi con le medesime speranze. “E quando quella mano fredda, come la pietra dov’era posata, si ferma sulla mia guancia, io so che la amo. La amo, figlia mia, come non ho mai amato nessuno. La amo come un mendicante, come un lupo, come un ramo di ortica. La amo come un taglio nel vetro. La amo perché non amo che lei, le sue ossa, il suo odore di povera.”
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Commenti
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eppure la
Mazzantini non mi entusiama.
ciao paola
Ora Enrico devi leggere "Venuto al mondo"
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