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Ancora un personaggio con il male di vivere
Eugenia è una donna apparentemente realizzata: intorno ai quaranta, regista di nicchia apprezzata e premiata, matrimonio solido seppure senza troppi slanci, due amatissime figlie ancora piccole. E un senso del dovere implacabile, un assoluto rigore verso se stessa. Un malore da stress la costringe però a rallentare e a fare un primo bilancio della sua vita: risalendo all’adolescente inquieta e ribelle, innamorata di un oscuro personaggio di un oscuro narratore russo e fidanzata di un tossico; alla giovane donna in fuga da una famiglia ingombrante e poi da un dolore improvviso; alle mille identità professionali (addetta ai call center, pubblicitaria free-lance, promessa del marketing), fino alla casuale scoperta della sua vera strada. Sempre in un equilibrio precario tra attivismo frenetico e indolenza, sulla soglia di una depressione da cui la salva l’amore per le figlie che la tiene ancorata a terra (ma questo tema è appena accennato nel romanzo).
Insomma, l’ennesimo personaggio con il male di vivere, quello che abbiamo un po’ tutti, anche chi di noi non ha la fortuna di cadere in piedi come la protagonista di questa storia. Per la quale mi permetto un giudizio superficiale e poco argomentato: alla fine risulta antipatica, o almeno così è risultata a me. La prosa della Bignardi è asciutta e diretta, descrittiva e senza fronzoli come la sua conduzione televisiva; un po’ più di ritmo non avrebbe guastato.